Come di consueto, il 15 settembre 2015 giornalisti da ogni dove convergono sul Salone dell’auto di Francoforte, ospitato nell’immensa Fiera del centro finanziario d’Europa. La rassegna, in programma dal 19 al 27 settembre, con quella di Ginevra è considerata la più importante di qua dall’Atlantico. E, nel caso specifico, dà modo ai colossi locali – Volkswagen con i suoi marchi, Mercedes-Benz e Bmw – di esibire tutti i muscoli occupando, da soli, buona parte degli spazi. Una fiera della vanità e della potenza di fuoco. Nulla, però, faceva presagire a quello che sarebbe successo da lì a pochi giorni con la conseguenza di contribuire a segnare l’inizio della fine della stessa esposizione di auto.
In serata l’appuntamento con la tradizionale Volkswagen Group Night alla Fraport Arena: spalti gremiti di giornalisti e operatori dei media. Ospite una folta delegazione cinese in rappresentanza dei partner che consentono ai tedeschi di cercare di espandersi sotto la Grande Muraglia. A far gli onori di casa è Martin Winterkorn, il potente ceo del gruppo, come al solito freddo, elegante e piuttosto distaccato.
Chi l’avrebbe detto che sarebbe stata la sua ultima apparizione ufficiale da leader del gruppo? Il 23 settembre, nel pieno svolgimento del Salone, con la deflagrazione del Dieselgate, ecco infatti arrivare le sue dimissioni: 8 giorni giusti per passare dalle stelle alle stalle.
Settembre 2025: sono trascorsi 10 anni dallo scandalo dei motori Diesel del gruppo Volkswagen con le emissioni truccate in virtù di manomissioni alle centraline preposte, una vicenda di dimensioni mondiali che, oltre a essere costata al colosso di Wolfsburg pesantissimi danni di immagine, arresti di manager, rivoluzioni nella catena di comando e multe per 33 miliardi, continua a lasciare il segno.
Il Dieselgate, tra l’altro emerso negli Stati Uniti per poi allargarsi a macchia d’olio anche in Europa, ha servito su un piatto d’oro un importantissimo assist per chi si era messo contro il sistema automotive, ritenendo le quattro ruote il male di tutti i mali e, guardando al singolo veicolo, un ingombro dei centri urbani. Dunque, un assist perfetto per il mondo ambientalista e di certa politica che, a loro volta, hanno trovato rapidamente il modo di strumentalizzare e ideologizzare lo scandalo.
Resta sacrosanto che le prove delle centraline manomesse erano inequivocabili e dichiarare emissioni di sostanze inquinanti più basse della realtà ha rappresentato qualcosa di veramente imperdonabile e un danno incredibile all’intero comparto. Doveroso, quindi, procedere severamente e punire i responsabili.
Il settore tutto, a quel punto, è dovuto correre ai ripari (le indagini, comunque, hanno trovato irregolarità nelle emissioni anche in altri costruttori che pure hanno dovuto sborsare fior di milioni) decidendo di puntare sulle scuse più tangibili e d’impatto in assoluto. Già. Ma quale tipo di scuse? E qui comincia il calvario che proprio in questo periodo il sistema automotive sta vivendo tra chiusure di fabbriche e crisi produttive con ripercussioni gravissime sull’occupazione e sulla competitività. Insomma, occorreva ripulirsi la coscienza. Ma in quale modo? Accettando le imposizioni in arrivo dalla Commissione Ue, sostenute con forza dalle lobby ambientaliste e da una Greta Thunberg scatenatissima e capace, ahinoi, prima di votarsi alla causa palestinese, di condizionare le politiche dei vari Paesi dell’Unione. Promossa, quindi, la visione di una mobilità solo e rigorosamente elettrica rispetto alle motorizzazioni endotermiche considerate alla pari di un killer. Le conseguenze di questa strategia sono sotto gli occhi di tutti.
Volkswagen e chi ha agito allo stesso modo, tra i costruttori, hanno sbagliato. Ma attenzione. Quanto è accaduto ha portato al risultato che le cause dell’inquinamento delle città sono state addossate alle automobili. Un calvario che poteva essere evitato, dai big delle quattro ruote, solo sposando quella ideologia ambientalista capace di imporsi nelle stanze dei bottoni di Bruxelles. «Se si cerca una pistola fumante dell’attuale disastrosa situazione del settore automotive europeo – riconosce Andrea Taschini, advisor e manager automotive – la si deve individuare nel Dieselgate. Ogni qual volta i tedeschi vengono colti in fallo e per loro colpa, quasi per una sorta di lesa maestà, reagiscono scompostamente trovando soluzioni che quasi sempre riescono ad aggravare il misfatto compiuto. La malaugurata imposizione dell’auto elettrica, implementata dall’Ue con la ferma complicità tedesca, è figlia di una reazione scomposta e irrazionale, presa senza tenere conto né dei presupposti né delle conseguenze che avrebbe causato su tutta la catena del valore del settore». La situazione, grazie al Dieselgate, è sotto gli occhi di tutti.
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