Renzo Rosso ha compiuto 70 anni a cavallo delle settimana della moda milanese. È una delle persone più ricche d’Italia. Radici in un piccolo paese del Veneto, Brugine, è sempre rimasto legato alla sua terra. Ha fondato Diesel, un’azienda lifestyle internazionale famosa per aver rivoluzionato il mondo denim. Poi ha fondato Otb, una holding internazionale cui fanno capo brand del lusso come Jil Sander, Maison Margiela, Marni, Viktor&Rolf, le aziende Staff International, Brave Kid e appunto Diesel (nel bilancio consolidato a fine 2024 figuravano ricavi per 1,8 miliardi, un utile lordo di 276 milioni, investimenti per 77 milioni). Nel suo bouquet di marchi figura anche una partecipazione nel brand Amiri. Ha creato nel 2006 Otb Foundation, organizzazione non profit del gruppo che promuove progetti e iniziative di sviluppo sociale.
Rosso, come nasce l’idea di fondare Diesel?
«Quando ero piccolo mia madre mi metteva sempre i vestiti di mio fratello più grande, ma io volevo distinguermi. Quando ho fondato Diesel avevo poco più di 20 anni. Erano i primi anni Settanta, si usciva dal boom economico, era il periodo dei figli dei fiori, dei capelloni dei Beatles e dei Rolling Stones, e i ragazzi contestavano i loro genitori. Questo era il clima. Il jeans dava un senso di ribellione, era alternativo, per me aveva un fascino incredibile. E così pensai di creare un jeans diverso, inventato da me. Da allora, ho sempre messo i jeans. Sono proprio innamorato».
Proprio sempre?
«Beh, ieri dovevo partecipare a un evento, ho dovuto mettere un pantalone serio. Giuro, non vedevo l’ora di tornare a casa per rimettere i miei jeans».
«Solo gli stupidi sono noiosi». Oppure: «Diesel, per una vita di successo», sono slogan o forse qualcosa di più? Quanto della sua storia è nel dna di Diesel?
«Il 100 per cento, Diesel riflette quello che sono io, il mio desiderio, il mio sogno, la mia verità, il mio stile, il mio spirito».
Oltre 47 anni di attività. Si parla sempre dei suoi successi. Ma ci sono stati anche momenti difficili.
«Tutto è sempre stato molto difficile, sin dall’inizio. Facevo dei prodotti che la gente non capiva. Dovevo andare a vendere nei negozi delle città più importanti. Le metropoli più avanzate. Ho sempre faticato a trovare manager che venissero a lavorare da me. In Italia non ne trovavo. Ho messo insieme manager e ragazzi provenienti da tutto il mondo. Ho sudato molto, ho fatto sacrifici. Però ora ho la soddisfazione di poter dire: sono ancora qui».
Ma ci sono stati periodi di risultati oltre ogni aspettativa.
«Sì, ma anche dietro ai risultati ci sono cose che non funzionano. E io ho sempre guardato molto alle cose che non funzionano».
Quale è stato il momento peggiore?
«Quando ho deciso di non occuparmi più di Diesel, perché pensavo che poteva farcela da sola. Dopo qualche anno ho capito che si stava rovinando tutto, a partire dal brand. Era finita la creatività. Sono tornato e ho faticato molto a rimettere le cose a posto. Per due anni non ho dormito la notte, non sapevo se sarei stato capace di rimettere in moto questa azienda. Ma adesso è fantastico, è il brand più ambito dei giovani e dalle nuove generazioni».
Si emoziona quando vede un ragazzo con indosso Diesel?
«Moltissimo. Molto più di qualunque guadagno in denaro».
Quanto è difficile fare impresa in Italia?
«Molto. Perché c’è tanta burocrazia, i tempi sono sempre troppo lunghi e quindi i costi diventano più alti. Questi tempi mettono in difficoltà le aziende. Tutto costa di più e questo ci rende meno competitivi perché a ciò dobbiamo aggiungere i costi di tutela della nostra filiera, dei nostri artigiani che rappresentano la nostra forza».
Lei viene da una famiglia di valori contadini. Come l’ha influenzata nel suo lavoro?
«I miei gestivano una grande fattoria. Ho imparato da mio padre come si imposta un’impresa. Mi ha insegnato a condividere responsabilità e successi, ma anche a sostenere chi ha bisogno. Sono valori scolpiti nel mio dna. Una parte dell’utile di gruppo viene girata alla Otb Foundation che ho creato per aiutare chi versa in situazioni di necessità. Ad esempio, siamo adesso attivi in Palestina con due ospedali da campo che forniscono sostegno alle persone colpite dai bombardamenti. Lo facciamo anche in India. Supportiamo un’associazione che aiuta donne vittime di attacchi con l’acido e supportiamo in molti Paesi le donne vittime di violenza, offrendo loro assistenza psicologica, legale, troviamo loro una casa e un lavoro».
Anche durante la settimana milanese della moda un po’ ovunque si è discusso di sostenibilità. Lei che idea ha?
«La sostenibilità è fondamentale. Se non sei sostenibile, non puoi portare avanti un brand che sia riconosciuto e apprezzato dalle nuove generazioni».
Perché?
«Le nuove generazioni sono molto arrabbiate con noi che abbiamo una certa età. Ci accusano di aver rovinato il pianeta. Ci rinfacciano l’inquinamento. Non accettano la logica del profitto sopra ogni cosa. Hanno ragione, per questo il nostro gruppo insegue la sostenibilità in ogni campo. La nostra visione è produrre di meno con più qualità».
Inseguire la sostenibilità è un bel proposito, ma cosa fanno le sue aziende concretamente?
«Nella mia idea la sostenibilità è uno state of mind, uno stato d’animo, e ho portato questa visione all’interno di Otb. Ad esempio, nel 2024 Diesel ha realizzato un documentario, Behind The Denim, dove racconta i molteplici aspetti del proprio impegno per creare denim a ridotto impatto ambientale. Diesel ha inoltre rafforzato la propria partnership con l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale (Unido), continuando un importante progetto di circolarità per la realizzazione di denim da rimanenze di tessuto».
Da un singolo brand lei è passato a fondare un gruppo. Era necessario?
«Non c’è un vero motivo scatenante. Ho sempre voluto fare qualcosa di diverso e più vado avanti più voglio fare qualcosa in più. Ma per farlo ho bisogno doi infrastrutture societarie flessibili. Per questo ho riunito tutto sotto una holding, tanti brand con un dna unico. In Otb abbiamo diverse funzioni che ti permettono di fare sinergie tra le varie controllate: così è anche più facile guidarle».
Parliamo di dazi. Che problemi stanno creando al suo gruppo?
«I brand del lusso, grazie a una domanda sempre alta del Made in Italy, finora non hanno subito grandi danni. Se invece guardiamo a prodotti tipo Diesel, dove la concorrenza è più forte e la produzione è presente in diversi Paesi che hanno dazi anche più alti, il problema dei dazi Usa si fa maggiormente sentire».
Come arriva il successo di un prodotto?
«Quando una cosa è desiderata, sognata e piace».
Sette figli. Come ha fatto a conciliare impegno globale e vita familiare?
«Sarò presuntuoso, ma credo di essere stato e di essere un padre degno. Sono sempre stato presente per i miei figli, a scuola con gli insegnanti, per le visite mediche e in tutti i momenti fondamentali della loro vita. Credo che i miei figli possano dire che hanno sempre avuto accanto il padre. Io sono orgoglioso di loro, spero che anche loro lo siano di me».
Nuove iniziative economiche?
«Oltre all’hotel Pelican di Miami e al Chilthern Firehouse di Londra, ho appena aperto un hotel pazzesco in piazza a Cortina. Si chiama Hotel Ancora ed è il risultato di tutto ciò che ho visto e vissuto durante i miei viaggi, un progetto pensato per accogliere gli ospiti con calore. Volevo creare un posto dove tutti potessero sentirsi a casa. Credo di esserci riuscito».
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