Sono un esercito da 53mila professionisti e un’importante fabbrica di ricavi per il mondo bancario. Secondo l’ultimo dato di marzo divulgato da Assoreti, gestiscono 917 miliardi di euro di risparmi e ancor più in questa fase gli ex promotori, oggi consulenti finanziari, possono giocare un ruolo fondamentale nel mantenere a pieno regime la macchina dei profitti bancari. È ormai alle spalle, infatti, la parentesi idilliaca di crescita economica accompagnata da tassi della Banca centrale europea che hanno toccato i livelli più alti di sempre: un toccasana per il margine d’interesse, che è il pilastro principale dei ricavi di una banca. Ma dopo otto tagli al costo del denaro, per mantenere gli utili a livelli record gli istituti dovranno giocoforza alimentare i ricavi da commissioni, che derivano in primo luogo dalla vendita di prodotti assicurativi e di risparmio gestito alla clientela.
Non a caso, gli istituti con un filiera completa, possono contare su una rete di consulenti finanziari di prim’ordine, che poi sono proprio coloro che vanno a raccogliere il risparmio sul territorio e vendono soluzioni di investimento a imprenditori e risparmiatori.
Non è affatto casuale che Intesa Sanpaolo, la più grande e stabile banca italiana, vanti la più capillare e numericamente importante rete di consulenti. Il gruppo guidato da Carlo Messina, con la sua Fideuram Intesa Sanpaolo Private Banking, nei primi cinque mesi del 2025 ha fatto incetta di professionisti: sono stati ben 215 i reclutamenti arrivando ad avere una rete di 5.742 consulenti (ai quali ci sarebbero da aggiungere gli oltre 1.100 di Intesa Sanpaolo Private Banking). L’obiettivo per il 2025, ha detto Fabio Cubelli, condirettore generale di Fideuram Ispb, è di 500 nuovi ingressi. Tra le perle di quest’anno spicca l’ingaggio di un professionista che, da solo, ha portato in dote un miliardo di euro di masse, il suo nome è Gianluca Piacenti. Una sorta di Cristiano Ronaldo della categoria, visto che in Italia solo il 3% dei consulenti abilitati all’offerta fuori sede iscritti all’Albo Ocf gestisce più di 100 milioni di masse.
Chi ha sempre fatto molto bene questo mestiere è Banca Mediolanum, che ha la seconda rete più grande con 4.440 consulenti. Il gruppo guidato da Massimo Doris, peraltro presidente di Assoreti che è l’associazione di categoria, ha saputo brillare sul fronte della raccolta gestita anche nei periodi dove a fare la voce grossa, proprio grazie ai tassi alti, erano i titoli di Stato. Il risiko bancario, poi, ha portato al centro della scena Banca Generali: l’istituto guidato da Gian Maria Mossa ha una delle reti più grandi del panorama italiano, con 2.379 consulenti, e si segnala per risultati di bilancio di rilievo sul fronte della redditività. Basti pensare che in Borsa vale 5,5 miliardi di euro. Mediobanca, nel tentativo di sfuggire dall’offerta pubblica di scambio di Mps l’ha messa nel mirino. Ma non è un sogno nuovo: negli anni la voce di un interesse del numero uno di Piazzetta Cuccia, Alberto Nagel, è ciclicamente riaffiorata. La rete dell’ex CheBanca!, oggi Mediobanca Premier, ad aprile 2025 dichiarava 1.189 consulenti e unendo le due reti si avvicinerebbe ai mostri sacri del settore. Certo ha fatto questi conti anche l’amministratore delegato di Mps, Luigi Lovaglio, che se riuscisse a portare a termine con successo l’offerta pubblica di scambio su Mediobanca andrebbe a creare una filiera quasi completa, dalla banca commerciale al credito al consumo fino alla gestione patrimoniale potendo apportare anche la piccola ma performante rete di Banca Widiba (571 consulenti). Segno di come il matrimonio Mps-Mediobanca avrebbe un senso industriale più che evidente.
Nel frattempo, Mediobanca Premier ha allungato le mani su una truppa di otto gestori di Teramo guidata dal manager Leonardo De Gregoriis che il mese scorso è passato da Banca Generali a Mediobanca Premier, portando con sé masse di clienti per 250 milioni di euro. Del resto, chi conosce da vicino questo settore, sa bene che le cosiddette banche-reti fanno a gara a reclutare sempre nuovi professionisti e a darne pubblicità con comunicati stampa sulle riviste di settore, con una tattica anche psicologica e comunicativa per convincere i grandi consulenti a portare i loro clienti verso la rete che cresce di più e permette prospettive di guadagno migliori.
Probabilmente, potendo tornare indietro oggi Unicredit non venderebbe più la sua quota in FinecoBank. La banca guidata dall’amministratore delegato Andrea Orcel, infatti, è impegnata a riportare al suo interno tutto ciò che era stato dismesso sotto la reggenza di Jean Pierre Mustier che si era disfatto della principale casa prodotto di fondi, Pioneer, e poi tra maggio e luglio del 2019 aveva ceduto sul mercato il 35,3% proprio di Fineco incassando complessivamente 2,1 miliardi. Oggi quella stessa quota varrebbe circa 4,2 miliardi, esattamente il doppio. E Orcel avrebbe un’influenza diretta su un’azienda che, oltre a fare fondi di investimento, ha anche una vasta rete di consulenti di 3.044 effettivi. Tant’è che il capo di Piazza Gae Aulenti sta ricostruendo tutto da capo, con un’Ops in corso su Banco Bpm, il riscatto appena concluso del 100% di CNP Unicredit Vita e Unicredit Allianz Vita oltre alla partnership con Azimut che ha visto nascere Nova Investment Management (una casa prodotto di fondi) sulla quale Unicredit ha un’opzione per riscattarne l’80 percento. Un armamentario che certamente avrebbe una potenza di fuoco superiore se la rete di Fineco fosse ancora nel perimetro del gruppo.
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