Open AI vuole possedere tutto. Era il titolo di un pezzo del Financial Times di qualche giorno fa e, vedendo gli ultime novità lanciate dalla casa madre di Chat Gpt, non sembra essere tanto lontano dalla realtà. Il nuovo Browser di OpenAI, casa madre di Chat Gpt, sembra mantenere la veridicità del ragguaglio. Se riuscirà a scalfire il dominio incontrastato di Google col suo Chrome, cambierà per sempre il modo in cui conosciamo internet e il suo sistema economico. Il guanto di sfida lanciato da Sam Altman ad Alphabet è pesante e tenta mettere in discussione per la prima volta dopo diciassette anni l’egemonia indiscussa di Google, che con Chrome – lanciato nel 2008 e sostenuto da accordi miliardari con Android e Apple – ha conquistato un dominio quasi assoluto sul mercato dei browser.
Con Atlas l’utente si interfaccerà con un assistente capace di agire in autonomia, riassumere testi, pianificare giornate di lavoro, itinerari, scrivere da solo e senza input email, compiere ricerche personalizzate in completa autonomia. È la nuova guerra dei browser, che si combatte sulla capacità di far rimanere l’utente all’interno del sistema, in un ambiente chiuso e autosufficiente.
La vera rivoluzione (e il pericolo) risiede proprio in questo: per la prima volta, non sarà più necessario lasciare l’ecosistema del browser per consultare siti esterni. Un ribaltamento completo del modello su cui Internet si è fondato per decenni, quello dei link, dei rimandi ai siti e della conseguente pioggia di guadagni e pubblicità.
Molti analisti leggono questa mossa come l’inizio di una nuova fase della competizione tecnologica. La prossima guerra commerciale non sarà più tra motori di ricerca, ma tra interfacce dotate i IA agentica, cioè quella in grado di prendere le decisioni in autonomia, senza la necessità dell’input umano costante. Chi controllerà l’interfaccia controllerà anche il resto: dati, pubblicità, tempo di attenzione e, in definitiva, l’esperienza dell’utente.
Meta
Intanto, sul fronte europeo, la Commissione Ue ha accusato Meta di non aver vigilato adeguatamente sui contenuti illegali diffusi online. Bruxelles ipotizza una maxi-multa per il gruppo di Mark Zuckerberg, ritenuto in violazione delle norme del Digital Services Act. Secondo la Commissione, né Facebook né Instagram offrirebbero strumenti semplici e accessibili per segnalare materiali illegali, come contenuti pedopornografici, abusi su minori o propaganda terroristica.
La vicenda arriva in un momento di forte tensione geopolitica tra Stati Uniti ed Europa sul terreno digitale. Donald Trump ha già minacciato ritorsioni contro i Paesi Ue che imporranno sanzioni alle big tech americane. Eppure il regolamento europeo è chiaro: il Digital Services Act obbliga le piattaforme a vigilare su ciò che circola al loro interno, con sanzioni fino al 6% del fatturato globale. Finora, però, Bruxelles non ha ancora comminato alcuna multa effettiva.
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