Specializzato nell’ideazione, produzione, stampa e personalizzazione di tessuti e accessori tessili di alta qualità, a servizio dei player internazionali del lusso e attivo con una divisione Home, Gentili Mosconi nasce nel 1988 da un’idea del suo fondatore e attuale ceo, Francesco Gentili.
L’azienda ha chiuso il primo semestre con ricavi in crescita e un utile in pareggio, come si tiene la rotta in un settore a ostacoli?
«Investendo e innovando, non si può rimanere indietro nella ricerca e sviluppo. Servirebbero anche incentivi (su investimenti o nuove tecnologie) e più flessibilità nei rapporti di lavoro. E poi un modello di sviluppo definito: per noi è stata l’idea di creare una rete di imprese indipendenti ma collegate, con servizi sinergici che vanno a integrare la casa madre, la Gentili Mosconi, e nel contempo presidino il territorio comasco a difesa del nostro know-how».
Servono le risorse per tutto questo.
«Certamente, noi abbiamo scelto la strada della Borsa che è stata un ottimo mezzo per raccogliere i capitali e accelerare la strategia di integrazione. Inoltre è un bel biglietto da visita da presentare ai clienti internazionali, mega gruppi da 50 miliardi in su, e faciliterà nel passaggio generazionale».
I poli italiani del tessile però soffrono.
«È una crisi particolare, diversa da quelle passate, più strutturale e meno ciclica e impone un cambiamento di produzione e di attitudine. Se è una questione di sovra produzione di merce potremmo tornare a fare due collezioni all’anno al posto di otto. Tra l’altro questo tornerebbe a dare alla moda quella desiderabilità che deve avere. Quando è nata la moda, era il prodotto che generava il business. Oggi è l’inverso ed è sbagliato, come costruire una casa dal tetto».
I dazi sono un problema tra i problemi?
«I dazi più che danneggiarci ci stanno avvantaggiando rispetto ai nostri competitor cinesi. Oggi l’Italia paga un 15%, la Cina il 50% e quindi un prodotto italiano costa poco più di un prodotto cinese, ma non il doppio come era prima, li vedo dunque come un’opportunità. Negli Usa pagavamo già un 7% che è stato poi portato al 15%, una differenza minima per gli alto spendenti».
Cosa tira e a quali mercati guardate?
«Oggi la parte accessori (foulard, sciarpe, cravatte) sta performando meglio, ma questo accade facilmente quando il prêt-à-porter è debole. Con un accessorio hai un vestito nuovo. Ma non dobbiamo spaventarci, ci sono grandi opportunità: in Cina stanno nascendo brand che puntano alla qualità, come anche in Sud America e India. È necessario continuare a investire».
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