Patrizio Bertelli è senza dubbio l’uomo che in Italia ha dato, e speso, di più per la conquista di quella “brocca” che nella sua storia ha preso molti nomi: Hundred Guineas Cup, Auld Mug, e infine America’s Cup. Chi entra in contatto con quel mondo finisce per restare coinvolto a vita, colpito da un fuoco sacro. Patrizio e il suo team stanno lavorando alla ottava sfida, settima partecipazione. Tecnicamente la sfida per la edizione Napoli 2027 della Coppa numero 38 non è ancora lanciata, ovvero il Royal New Zealand Yacht Squadron non ha ancora ricevuto la sfida “formale” da parte di un club italiano che attiva la vera e propria iscrizione. Ma le intenzioni sono chiare: Bertelli e Max Sirena hanno assunto il fuoriclasse neozelandese Peter Burling, timoniere vincitore delle ultime tre edizioni che è arrivato con una valigia di esperienze, per non dire segreti. Oltre ai consueti designer ci sono i fuoriclasse francesi della velocità dello studio VPLP, fondato da Van Peteghem e Lauriot Prevost già titolari di numerosi record con trimarani e monoscafi.
La passione di Bertelli per la vela parte da lontano, da prima che diventasse uno dei protagonisti della moda mondiale: «Avevo 27 anni quando sono andato a Castiglione della Pescaia e sono salito in barca con Vasco Donnini, da allora non sono mai sceso». Vasco è stato un personaggio storico delle regate d’altura italiane. Le sue barche, spesso finanziate da Bertelli, erano un mix di risparmio e inventiva nella classe che una volta si chiamava “quarter tonner” lunghe attorno agli otto metri. Magistrale il “Tuscany Bistury”, che dal nome stesso era frutto di un taglia e cuci. Gli anni con Donnini sono spensierati e frequenta un altro grande amico e maestro, Renzo Guidi. Il giovane Bertelli già coltiva una passione forte, che esploderà potente e inarrestabile più avanti: quella per la Coppa America di cui legge ogni libro.
Quando il signor Bertelli comincia a guadagnare qualche soldo vero si compra una delle barche più belle che ci siano in Mediterraneo con cui naviga molto: è progettata da Sparkman & Stephens costruita da Sangermani nel 1972 e si chiama Ulisse. La ama visceralmente e non la lascerà mai, preferendola a tutte anche per dormirci dentro. Questo è il vero vizio dei velisti, anche quando potrebbero prenotare una suite imperiale preferiscono dormire quasi scomodi nella loro barca, per sentire di essere a galla. Tuttavia progetta un nuovo e più grande Ulisse, trenta metri per vacanze importanti e sceglie German Frers per il progetto. Ed è proprio durante i loro incontri che l’argentino pronuncia la frase fatale «sei la persona giusta per lanciare una sfida per la Coppa America». È la sera del 3 febbraio 1997, il giorno dopo Patrizio è già al lavoro per costruire il suo primo team: la barca si chiamerà Luna Rossa, il timoniere Francesco de Angelis, i progettisti German Frers e Doug Peterson. È la prima di otto sfide: Luna Rossa a Auckland vince la Louis Vuitton Cup, regata di selezione degli sfidanti e conquista il diritto a correre il Match. I giornali neozelandesi la chiamano “Silver Bullet”. L’entusiasmo è tanto ma Team New Zealand condotta da Peter Blake e Russell Coutts è imbattibile.
«Peter Blake mi mandò una lettera – racconta Bertelli – scrivendomi che il segreto della vittoria nella America’s Cup è farla all’infinito, fin quando non si vince: noi stiamo battendo questa strada». Da allora non ha mai mollato. O meglio, una volta dopo aver lanciato la sfida si è ritirato: troppi imbrogli americani per l’edizione di Bermuda. Prima di lui solo sir Thomas Lipton con i suoi Shamrock, ha lanciato cinque sfide. Nel 2012 è il primo italiano a entrare nella Hall of Fame della America’s Cup. L’ingresso è deciso per votazione di un gruppo di saggi, le caratteristiche richieste da chi lo concede sono un mix di buone intenzioni, di sportività, tecnica. Non ci sono solo gli “armatori” nella breve lista: oltre ai Vanderbilt e Bond ci sono marinai, tecnici, inventori. L’importante è aver dato qualcosa al grande trofeo, e averlo dato con lo spirito giusto. La sede della Hall è nell’Herreshof Marine Museum a Rhode Island, il cui mare è stato il teatro di tante edizioni della Coppa.
Dopo tre edizioni con Francesco de Angelis nel 2013 sceglie un nuovo skipper e affida il comando a Max Sirena, che conosce da anni come uomo di prua di Luna Rossa o delle sue barche d’epoca, una altra grande passione. Racconta Max: «Patrizio ama la competizione, anche quando è sulle sue barche d’epoca vuole sempre spingere al massimo, che sia a bordo o a terra. Lui vuole vincere, non solo prendere parte alla regata. Non avrebbe mai fatto tante sfide solo per motivi commerciali. Lui ama la vela e ama la Coppa America, il giorno in cui perderà la spinta verso la tecnica e la competizione forse smetterà».
Ma correre in Coppa America è stato solo passione? No, aver portato il marchio Prada sulle vele e averlo mostrato in tutto il mondo è servito e serve alla maison. La Coppa costa, si è passato dagli 80 milioni di dollari delle sfide anni 2000 (mal contati) ai 140 milioni di euro dei giorni nostri, e a conti fatti non appare neanche una grande differenza attualizzando il valore. Ma ci sono revenue importanti, spesso molto maggiori dell’investimento e spesso disconosciuti dagli “esperti” perché come tutte le partecipazioni sportive è difficile fare un conto preciso secondo i canoni noti. Le campagne che si avvicinano al risultato, cioè quelle che finiscono con il match contro il Defender, hanno dato enormi riscontri non solo in numeri assoluti ma anche in specificità del target.
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