Chiusura annunciata per la Manifattura del Casentino, storica azienda tessile della provincia di Arezzo. Pochi giorni fa sono stati licenziati gli ultimi tredici dipendenti e i macchinari si sono fermati. Piange il cuore a pensare che la celebre “ratinatrice” – il macchinato utilizzato per la realizzazione del panno – non arriccerà più i batuffoli di lana, che hanno fatto la storia di un modo di vestire tutto toscano, poi esportato nel mondo grazie a una famosa scena di Colazione da Tiffany. Si tratta di un macchinario unico al mondo, indispensabile per rifinire la lana e ottenere il vero panno casentino, il tessuto arricciato e ruvido che da secoli identifica il territorio aretino. Senza di essa, la produzione autentica di questo panno rischia di scomparire.
In un comunicato, i proprietari hanno spiegato che se entro la fine di novembre non si presenteranno nuovi acquirenti o manifestazioni d’interesse, l’azienda sarà smantellata.
La chiusura è l’effetto di una crisi che ha investito il settore moda a livello globale: rincari delle materie prime, aumento dei costi energetici e calo della domanda. Dal 2022 il fatturato della Manifattura ha cominciato a scendere fino ad azzerarsi negli ultimi mesi. Le ripercussioni vanno oltre i cancelli dello stabilimento: in provincia di Arezzo ci sono almeno trenta aziende che si rivolgevano alla Manifattura per la rifinitura del panno e ora si trovano senza un punto di riferimento. L’azienda, infatti, si occupava anche di tintura e altre lavorazioni fondamentali.
A rendere celebre il panno casentino nel mondo fu Audrey Hepburn, che lo indossò nel celebre film Colazione da Tiffany: il cappotto doppiopetto arancione, disegnato da Hubert de Givenchy, divenne un’icona di stile. Quell’arancione brillante – noto come becco d’oca – e il verde bandiera sono i colori simbolo di questo tessuto, un tempo destinato alle coperte dei cavalli per la sua resistenza e impermeabilità. Dalla fine dell’Ottocento, però, il panno passò dai maneggi alle sartorie, conquistando prima i contadini e poi la borghesia toscana.
Secondo la tradizione, la particolare brillantezza dei colori deriva anche dall’acqua del Casentino, utilizzata nei processi di tintura. La specificità del territorio è parte integrante dell’identità del tessuto, così come lo è la ratinatrice, derivata dal verbo francese ratiner – cotonare – che descrive il processo con cui la lana si arriccia formando i tipici batuffoli.
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