Ciò che fino a ieri sembrava impossibile oggi non è più così. L’invasione russa dell’Ucraina ha riportato indietro le lancette dell’orologio e la Storia è tornata con tutta la sua forza fatta di guerra, carri armati e, soprattutto, morti. E gli italiani sono preoccupati. Secondo la rivista francese Le Grand Continent, il 49% dei nostri connazionali teme per un conflitto in Europa. Tutto, del resto, sembra andare in questa direzione: Ursula von der Leyen con i suoi 800 miliardi per il riarmo Ue insieme ai kit di sopravvivenza che le autorità, nazionali e internazionali, suggeriscono ai cittadini di portare con sé. Si parla di prontezze e di guerra. Quest’ultima parola, fino a ieri impronunciabile, è ora nelle orecchie degli europei. Ma come si svolgerebbe un attacco contro il nostro Paese? Per Giorgio Battisti, generale di corpo d’Armata e già comandante del Corpo d’armata italiano di reazione rapida della Nato, bisogna distinguere tre scenari diversi: attacco terroristico, conflitto armato convenzionale e minaccia ibrida.
Attentato terroristico
Ad oggi è lo scenario più comune. Un’auto sulla folla (il cosiddetto “ramming”), un attacco all’arma bianca, ormai sempre più comune, sopratutto in Germania, o azioni complesse, realizzate da veri e propri commando, come quelle compiute dai jihadisti dello Stato islamico in Francia e in Belgio tra il 2015 e il 2016. Oppure un’azione spettacolare contro infrastrutture critiche come porti, aeroporti, centrali energetiche o asset aziendali. «Gli obiettivi sono sempre premianti – spiega il generale Battisti – in relazione alla natura del gruppo terroristico ma il fine è sempre quello: provocare un grande effetto mediatico». Possiamo distinguere negli esecutori fazioni legate all’islam radicale; alla sinistra antagonista e ai gruppi anarchici; a quelli etno-nazionalisti, ai criminali, a sette religiose, ad altre tipologie di individui (ambientalisti, anti-nuke, idiosincratici in generale), senza dimenticare azioni di Stati bellicosi.
Tra le infrastrutture, prosegue l’ufficiale, «gli oleodotti, i gasdotti e i cavi sottomarini sono relativamente facili da colpire poiché presentano diversi punti deboli». Potrebbero essere compiuti anche attentati maggiormente devastanti come quelli biologici, che sono tuttavia meno realizzabili in quanto per i terroristi è più difficile ottenere agenti infettivi e tossine per compierli; quelli chimici, più facili da effettuare, come è accaduto nella metropolitana di Tokyo nel 1995 utilizzando sostanze comunemente disponibili (ad esempio, fertilizzanti) e materiali industriali tossici o utilizzati in ambito militare; oppure quelli nucleari, con la cosiddetta “bomba sporca” che consistono nella dispersione di sostanze radiologiche utilizzando esplosivo convenzionale (dinamite) confezionato unitamente a materiale radioattivo, proveniente da prodotti utilizzati in ambito industriale, medicale e di ricerca scientifica rubati o che non vengono smaltiti correttamente; infine, non sono da sottovalutare gli attentati di natura cibernetica.
Conflitto convenzionale
Era lo scenario più difficile da immaginare, ma oggi non è più così remoto visto che anche von der Leyen ha affermato che dobbiamo prepararci alla guerra e il ministero della Difesa francese, secondo Radio Europe 1, inizierà la prossima estate ad inviare ai cittadini un manuale, ispirato a un modello svedese, con istruzioni di sopravvivenza in caso di conflitto o di crisi sul territorio francese.
«Nelle guerre di oggi, dove si è persa quasi ogni traccia del Diritto internazionale umanitario, si colpisce in profondità anche la popolazione civile, oltre agli obiettivi militari nelle retrovie (aree addestrative, depositi logistici, ecc.), perché mirano a diffondere nella società una sensazione di insicurezza che generi un sentimento in grado di costringere la leadership governativa ad accettare negoziati di pace a condizioni sfavorevoli», spiega Battisti. Che prosegue: «In uno scenario di questo tipo, un nemico cercherebbe di colpire i centri di comando politico e militare, le linee ferroviarie, i ponti, le centrali elettriche, le raffinerie oltre ai gasdotti». E anche tutte quelle aziende che, a vario titolo, hanno a che fare con la Difesa: Leonardo, che accorpa più aziende; Piaggio Aerospace, che ora produrrà i droni turchi Baykar; l’Iveco di Bolzano, che produce mezzi per le Forze Armate; l’Oto Melara e Agusta. Ma pure Fincantieri. Perché l’obiettivo sarebbe quello di neutralizzare le capacità produttive industriali del settore. «Ad essere colpiti – afferma il generale – sarebbero tutti quei siti che dovrebbero concorrere all’economia di guerra e ad alimentare lo sforzo bellico»
Minaccia ibrida
Le truppe russe che valicano il confine ed entrano in Ucraina sono solo la “facciata”. In un report realizzato dalle Forze armate che Moneta ha potuto visionare in esclusiva, si legge che l’attacco di Mosca del 24 febbraio 2022 è stato anticipato da pesanti attacchi nel dominio cyber e nello spettro elettromagnetico. «Queste modalità offensive rientrano sia in una guerra tradizionale sia negli atti di sabotaggio delle infrastrutture critiche a seconda dello scenario», afferma Battisti.
Siamo nel 2021, un anno prima dell’invasione, e Kiev viene colpita da uno sciame continuo di attacchi cibernetici (oltre 4.500 quelli evidenti). Sono colpite le reti governative e istituzionali. Si creano “buchi” attraverso i quali gli hacker entrano, raccolgono informazioni e, se possono, destabilizzano. Seconda fase: non vengono più colpite le reti cablate o la fibra ottica, ma ad essere bersagliati sono i modem che governano le comunicazioni satellitari in modo da recidere i link con i droni, fondamentali nel combattimento. Terza ed ultima fase: compiendo attacchi cyber a centrali elettriche e siti istituzionali, sono riusciti a ottenere due obiettivi: indebolire il consenso della popolazione nei confronti del governo di Kiev e minare il morale dei soldati sul campo di battaglia. Uno scenario che ormai potrebbe verificarsi ovunque e che potrebbe essere l’inizio di un conflitto tradizionale.
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