Sabato 17 maggio 2025, paddock dell’autodromo “Enzo e Dino Ferrari” di Imola: pacca sulla spalla, mi giro ed ecco il volto sorridente di Luca De Meo. «Ciao Pierluigi!» e… via di corsa, con indosso una elegante tuta azzurra, nel motorhome della scuderia Alpine di Renault. È la giornata di prove del Gran Premio di F1 e mai avremmo immaginato che da lì a nemmeno un mese il ceo di Renault avrebbe comunicato l’addio a quel mondo automotive che lo aveva visto entrare, all’età di 25 anni, guarda caso alla Renault, per poi iniziare una brillante carriera che lo ha portato a ricoprire ruoli sempre più importanti e di vertice all’interno delle grandi case automobilistiche. Milanese, 58 anni, con radici in Puglia (è cittadino onorario di Locorotondo, paese natio della madre), sposato e padre di due gemelli, il 15 settembre De Meo ha ricevuto da François-Henri Pinault le redini di Kering, uno dei principali gruppi francesi del lusso. La mission? Come ha fatto con Fiat, al fianco di Sergio Marchionne, Seat e soprattutto Renault, dovrà rilanciare l’azienda che vive una fase di difficoltà.
La prossima sfida
Del resto, quella di rimettere a posto i conti (in Renault ha riportato i bilanci in attivo provocando il raddoppio di valore delle azioni in Borsa) e ridare slancio a realtà imprenditoriali è la sua specialità. «Qui mi sento al posto giusto», le sue parole. Un tradimento verso il settore che lo ha arricchito e segnato la sua brillante carriera? Una fuga, viste le giravolte sulla transizione verso l’elettrico alla quale aveva creduto e investito molto? O soltanto il desiderio di cambiare e rimettersi alla prova: una sfida da portare avanti in un altro tipo di business, il lusso, e con griffe di assoluto prestigio. Così Kering, «il più italiano dei gruppi francesi e il più francese dei gruppi italiani», come lo descrive Pinault, è ora nella mani del top manager italiano la cui avventura nelle quattro ruote è partita e si è conclusa proprio a Parigi. Dove adesso ricomincia. Anzi, ha già ricominciato. Il giorno dopo l’insediamento come capo azienda (il 16 settembre), sotto la sua scure è caduta la prima testa coronata: Stefano Cantino, ceo del gruppo Gucci, ha dovuto farsi da parte a beneficio di Francesca Bellettini, nuova ad. Se il buon giorno si vede dal mattino…
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Laureato alla Bocconi di Milano con una tesi sull’Etica aziendale, De Meo vanta una passione per le idee creative e per gli abiti eleganti. Doppiopetto e pochette di rigore, col tempo ha abbandonato la pettinatura sbarazzina indossando un look più evergreen. Considerato un grande funambolo del marketing nonché abile comunicatore, ha sempre fatto breccia tra i giornalisti per la sua cortesia. Un top manager globale, che ha vissuto in 12 Paesi e capace di parlare alla perfezione in inglese, francese, tedesco e spagnolo. Cinque lingue se includiamo quella italiana.
La sua rapida carriera, dopo i primi passi alla Renault, lo ha visto ricoprire incarichi sempre più importanti in Toyota, nei gruppi Fiat e Volkswagen, per poi sedersi ancora alla guida della Losanga con azionista l’Eliseo. Nel 2002 il ritorno in Italia, nel gruppo Fiat come responsabile del marchio Lancia. All’allora ceo Marchionne non erano sfuggite le capacità di colui che presto sarebbe diventato il suo pupillo. Da qui la nomina al volante dei brand Fiat, quindi di Alfa Romeo e anche di Abarth. Il gruppo di manager al suo fianco era stato denominato “Marchionne boys” e tutti hanno fatto carriera: da Fabrizio Longo, scomparso lo scorso anno, e capo prima di Hyundai e poi di Audi Italia, ad Antonio Baravalle, ora ceo di Lavazza, quindi Flavio Manzoni, attuale direttore del Centro stile Ferrari, e Giovanni Perosino, che dopo Audi, Lamborghini e Ita è responsabile del marketing di Maserati.
Di De Meo si ricorda quel fatidico 7 luglio 2007 quando, ai Murazzi di una Torino in festa, con Marchionne lanciò la Nuova Fiat 500, modello che segnò la rinascita della Fiat. «È un costruttore di marchi», venne definito in quel periodo. Successo da star. Così, nel 2007, arriva l’improvvisa nomina a direttore marketing con tanto di ufficio nel quartier generale del Lingotto. Promoveatur ut amoveautur? Difficile dire. Sta di fatto che quell’incarico a De Meo andava stretto, dovendosi occupare anche delle attività extra auto del gruppo. Ed ecco il colpo di scena.
Colpi di scena
Gennaio 2009, Detroit, annuale Auto Show. È mattina presto in America, quando i cellulari dei giornalisti dell’auto cominciano a squillare: «De Meo è passato al gruppo Volkswagen», avvertono dalle redazioni italiane. La verità, che nessuna ha mai confermato, è che la troppa visibilità del giovane manager e gli ottimi rapporti con i media internazionali potrebbero aver infastidito i vertici torinesi. Meglio cambiare aria, a quel punto. Ed ecco la svolta e passi successivi: direttore marketing a Wolfsburg, nel 2012 in Audi come membro del board e responsabile vendite e marketing. Tre anni dopo il gruppo lo designa alla presidenza della spagnola Seat che riesce a risanare, portare sul mercato sudamericano e dare un volto nuovo con la produzione di nuovi Suv.
Il colpo da maestro arriva nel 2018 con la creazione del marchio Cupra che tuttora ottiene buoni risultati. Altri incarichi paralleli lo vedono nei consigli di sorveglianza di Ducati e Lamborghini. Poi la chiamata da Parigi alla guida di Renault ancora sotto choc dopo gli scandali che hanno avuto al centro l’ex numero uno Carlos Ghosn. Qui il top manager milanese battezza le divisioni Ampere (elettrico) e Horse (motori endotermici con i cinesi di Geely), promuove il marchio Alpine nelle competizioni affidandosi all’esperienza di Flavio Briatore, quindi fa di Dacia un marchio di successo internazionale. Ed è subito tempo di “Renaulution”, il piano di rilancio di Renault articolato in tre fasi: Resurrezione, Rinnovamento e Rivoluzione.
Nel 2023 De Meo sale anche al vertice di Acea, l’Associazione dei costruttori europei, con l’impegno di limitare deindustrializzazione e delocalizzazione del settore, in particolare di fronte alla concorrenza degli Usa e della Cina, oltre alla necessità di sostenere la “mobilità elettrica” e di garantire la “creazione di valore aggiunto e posti di lavoro”. Missione, però, non riuscita a causa delle politiche ideologiche di Bruxelles che avevano costretto i costruttori a indirizzare i piani in quella direzione. «Ne ha fatta di strada quel ragazzo che si era presentato nei tetri uffici di Mirafiori con il gessato grigio e la brillantina sui capelli», racconta chi ha lavorato per anni al suo fianco. Scherzando, ricordando Marchionne e i suoi viaggi, De Meo aveva inventato il termine “Air Findus” per descrivere il jet privato utilizzato dall’allora ceo del gruppo, «abituato a viaggiare”e a farci viaggiare a temperature polari». È solo uno dei tanti aneddoti che ama raccontare della sua lunga esperienza torinese.
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