C’è una miniera ricca di rame, una delle più grandi al mondo, ancora tutta da sfruttare. No, non si trova in Cile, Perù, Congo o Australia. Ma proprio sotto i nostri occhi. Anzi, sotto i nostri piedi. È la cosiddetta miniera urbana, fatta di vecchi cavi in disuso, binari dismessi e reti obsolete. Un patrimonio che, secondo gli esperti, potrebbe fruttare miliardi e rilanciare investimenti infrastrutturali a più basso costo.
Secondo TXO, azienda di engineering britannica che aiuta i gruppi di tlc a riciclare il rame, le società di telecomunicazioni potrebbero recuperare oltre 800.000 tonnellate di rame entro il prossimo decennio. Una quantità che tradotta ai prezzi attuali supererebbe gli 8 miliardi di dollari, quasi 7 miliardi di euro. Ma il guadagno potrebbe essere ben superiore, grazie a un trend delle quotazioni del metallo rosso in continuo rialzo.
Dopo il record di 11.100 dollari a tonnellata toccato lo scorso marzo, i principali operatori hanno previsto, in occasione di un vertice sulle materie prime del Financial Times in Svizzera, che il metallo rosso possa raggiungere quota 12.000 dollari a tonnellata già quest’anno, a causa dell’aumento delle preoccupazioni sull’offerta a livello globale. E in effetti un rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie) indica un deficit di fornitura del 30% entro il 2035, spinto da una domanda in continua crescita. Secondo le stime raccolte da Bloomberg, la domanda annuale di rame potrebbe crescere di oltre il 50% entro il 2040, mentre il gruppo minerario Bhp prevede un boom del 70% dai livelli del 2021 entro il 2050. Il rame è infatti un componente fondamentale delle batterie dei veicoli elettrici, delle turbine eoliche e di altre infrastrutture per l’energia pulita, ma anche delle nuove tecnologie dell’intelligenza artificiale.
Come si muovono gli operatori
«Gli operatori che si impegnano ora nel recupero del rame non solo stanno ottenendo sostanziali ritorni finanziari, ma stanno anche rispondendo a una pressante esigenza globale di sostenibilità delle risorse», ha dichiarato David Evans, responsabile dei servizi di recupero delle risorse presso TXO al Financial Times. Secondo il sondaggio condotto dall’azienda inglese, l’80% degli operatori tlc intervistati ha in programma di rivendere la propria infrastruttura in rame nel prossimo futuro.
Alcuni si sono già mossi. Dall’americana AT&T all’inglese BT, dalle nordiche Telia e Telenor fino all’australiana Telestra, i big del settore delle telecomunicazioni stanno già lavorando al riciclaggio del metallo rosso ricavato dallo smantellamento delle linee tradizionali con il passaggio ai cavi in fibra ottica. Anche in Italia si accelera. Tim, che negli anni scorsi in ottica di economia circolare ha venduto tonnellate di rame dismesso e di altri materiali di recupero, nel 2024 aveva avviato la dismissione di 6.700 centrali, sulle circa 10.500 esistenti. Attività che, con la vendita della rete fissa, è passata lo scorso anno in Fibercop, da cui fanno sapere di «star portando avanti il piano di evoluzione tecnologica delle centrali e di stare valutando le modalità di riutilizzo del rame recuperato, con l’obiettivo di favorirne il reimpiego secondo principi di economia circolare e sostenibilità».
Una miniera per le ferrovie
Il rame però non scorre solo nei cavi delle telecomunicazioni. Anche le reti ferroviarie sono una miniera urbana a cielo aperto. Dai cavi si estraggono rame, oro e palladio, materiali preziosi per l’elettronica. E non a caso diventano bersaglio di furti. È accaduto solo poche settimane fa in Francia, dove sono spariti 600 metri di cavi nella stazione di Lille Europe, mandando in tilt i collegamenti ad alta velocità tra Londra, Parigi e Bruxelles.
In Italia, già dal 2012 esiste un Osservatorio nazionale contro i furti di rame. Intanto RFI, braccio infrastrutturale delle Ferrovie dello Stato, ha avviato progetti di riciclo sistematico del metallo, recuperato da cavi e altre componenti, con benefici in termini di costi legati all’acquisto di nuovo materiale e di rischi per i furti. Gran parte del materiale, infatti, è destinato alla vendita come rottame, poiché non più idoneo all’esercizio ferroviario ma riutilizzabile in altri ambiti. Questo approccio crea dunque nuovi flussi di entrate che possono finanziare l’innovazione e l’aggiornamento della rete.
Le prospettive
La politica si è accorta del potenziale. Secondo il Critical Minerals Policy Tracker dell’Aie, negli ultimi tre anni sono state introdotte oltre 30 misure per stimolare il recupero di metalli critici. Se tutte verranno attuate, il solo mercato del riciclo di questi metalli potrebbe valere 200 miliardi di dollari entro il 2050. Un giro d’affari consistente. Non solo. Secondo il recente studio “Recycling of Critical Minerals: strategies to scale up recycling and urban mining”, potenziare le attività delle miniere urbane potrebbe ridurre fino al 40% il fabbisogno di nuove estrazioni per rame e cobalto entro la metà del secolo, e del 25% per litio e nichel.
Ma la strada è ancora lunga, soprattutto per l’Europa. Qui le capacità di riciclo annunciate copriranno solo il 30% della domanda di materie prime entro il 2040. In Cina, leader del settore, si sfiora già il 70%. In attesa di colmare il divario, sotto i nostri piedi resta una miniera da miliardi. Basta solo saperla sfruttare.
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