E’ sempre stata una lotta combattuta con la fantasia, fin da quando – negli anni ’90 – il nome Motorola evocava immediatamente immagini di telefoni indistruttibili, design iconici e una rivalità storica con Nokia. In quel periodo i due colossi si contendevano il trono del mobile con dispositivi che avrebbero segnato una generazione: quando, nel 1990, l’azienda svedese lanciò il Cityman, il primo telefono cellulare senza più valigetta, Motorola rispose con suo Microtac, e il mondo si divise in due. Era il telefonino con lo sportellino e l’antenna, aveva una sua rete (la Tacs, appunto), costava 4 milioni di lire e diventò subito di moda. Unico, fino all’arrivo quattro anni dopo delle Sim ricaricabili che cambiarono le abitudini degli utenti.
Nove anni dopo, 2003. Il mercato si era allargato, Nokia era la numero uno delle vendite, Motorola era nel tunnel della crisi. Ecco allora il Razr V3, altro colpo di genio e di design, il telefonino che si piegava in due, un boom. Fu un successo, insomma, era qualcosa di diverso, visionario, fino a quando poi Apple non fece la rivoluzione con l’iPhone e fu di nuovo oblio. L’avvento degli smartphone e una serie di scelte aziendali errate portarono Motorola a perdere terreno fino quasi a scomparire dal radar, con l’operazione scellerata di Google, che nel 2011 acquisì il marchio per 12,5 miliardi di dollari finendo per rivenderlo a Lenovo tre anni dopo per soli 2,9. E allora addio, così muore un’icona. Eppure…
La visione e la rinascita
Da 0 al 15%, in Italia. Il business è fatto di numeri, e gli ultimi sei anni di Motorola sono una storia tutta da raccontare. Già Lenovo è un caso che spiega come si costruisce una leadership senza frontiere: ha una proprietà a maggioranza cinese, con sede a Pechino, ma nella quale ci sono anche fondi americani. E made in Usa è anche il management di Motorola, a Chicago. Nel 2019 l’azienda decide di rispondere a quella domanda – «ma Motorola esiste ancora?» – che circolava ogni volta che si parlava di telefoni, e punta a ricostruirsi in Europa, dove il mercato mette il suo nome nella rubrica “altri”, ovvero zero virgola. Qui da noi viene chiamato Carlo Barlocco, ex vicepresidente di Samsung Italia, e il suo team comincia a muoversi sulla linea di un progetto che parla di eredità, innovazione e lifestyle. Torna il Razr, e ricomincia la storia.
«Siamo ripartiti con pazienza e idee, ma tre anni fa, quando abbiamo dichiarato che volevamo raddoppiare il nostro business globale, molti ci guardavano ancora con scetticismo» racconta Fabio Capocchi, Vicepresidente Emea. Quel piano ambizioso oggi è realtà: il marchio è tornato protagonista in cinque macro-regioni, con una crescita solida e strutturata. In America è stabilmente tra il primo e il secondo posto, mentre in Nord America occupa la terza posizione, con un exploit nel segmento premium: ben sei dispositivi flip venduti su dieci appartengono a Motorola. «Anche in Asia Pacifico i segnali sono positivi – continua Capocchi -, grazie a un’acquisizione strategica in Giappone e a una forte espansione in India, dove un mercato giovane ha permesso di testare un’offerta accessibile che ha portato, sorprendentemente, al prezzo medio più alto al mondo».
Poi, appunto, c’è l’area Emea, quella che comprende l’Europa e nella quale – Africa, Turchia e Russia per ora escluse – il mercato degli smartphone segna la crescita più rapida, soprattutto in termini di fatturato. Il merito è della gamma premium, con i modelli Edge ma soprattutto il nuovo Razr, che performano oltre le aspettative. Tanto che in Italia Motorola è diventata il terzo brand più venduto, in Polonia ha raggiunto dal nulla una quota del 6%, e in Spagna è tra il secondo-terzo posto. «Questo successo è frutto di un investimento a 360° su prodotto, tecnologia e, soprattutto, identità: abbiamo trasferito il nostro Dna anche nella comunicazione, la riconoscibilità dei prodotti è stata potenziata attraverso collaborazioni come quella con Pantone, a cui lasciamo la scelta di indicarci i colori. E ci facciamo guidare dai sensi: le scatole dei nostri smartphone sono profumate con una fragranza esclusiva, che accresce l’identità del prodotto».
Make it iconic
Non è solo, insomma, questione di tecnologia, in un momento in cui i prodotti tendono ad assomigliarsi tutti. Il ritorno del Razr, reinterpretato come smartphone pieghevole, è per esempio un chiaro omaggio agli anni ’90 ma con design guarda al futuro. L’ultimo motto dell’azienda, “Make it Iconic”, vuole essere una dichiarazione di intenti: in un mercato dove l’originalità scarseggia, serve puntare su elementi che la concorrenza non ha. E su collaborazioni strategiche come quelle con Formula 1 per la tecnologia, Eurolega per la passione, Fifa per lo sport globale. Fino all’idea di una linea Collection per oggetti distintivi come gli auricolari Swarovski trasformati in veri e propri orecchini audio. Lifestyle tech, si diceva.
L’efficacia di questa strategia è testimoniata anche dal pubblico raggiunto: Motorola ha conquistato una quota significativa di utenti under 25 («ed eravamo considerati adatti solo per gli over 45», dice ancora Capocchi) e il pubblico femminile rappresenta quasi il 50%. Non solo: tra i nuovi acquirenti del Razr, ben il 20-25% proviene dall’ecosistema Apple, segno di un appeal trasversale e crescente che si traduce a un +58% delle vendite in Italia nel 2024.
L’IA personalizzata
Un altro pilastro della rinascita Motorola è l’intelligenza artificiale, intesa non come assistente passivo ma come partner attivo. «Nel Razr 60, l’IA lavora anche localmente. Non abbiamo imposto un nostro agente virtuale: lasciamo che l’utente scelga tra i motori IA disponibili», tra cui anche Perplexity AI, una primizia. Ci sono funzionalità come Look and Talk (lo smartphone risponde solo quando riconosce lo sguardo del proprietario, registrando in background ciò che viene detto) e Next Step, che interviene con suggerimenti utili e proattivi, tipo trascrivere un colloquio o organizzare un viaggio da una semplice foto. «Facciamo tutto quello che sappiamo fare – conclude Capocchi – e ci fidiamo delle aziende con cui collaboriamo per il resto. Per dire: non abbiamo voluto lanciarci con l’ecosistema tech finché non fosse pronto. Ora, grazie alla piattaforma Smart Connect, è tutto integrato e le partnership sono selettive e funzionali, come quella con Bose per l’audio e con Swarovski per l’estetica. L’obiettivo non è il lusso fine a se stesso, ma essere accessibili, distintivi e sostenibili». Essere Motorola in pratica, come una volta.
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