«Si sono abbastanza ottimista. Mi pare che il peggio sia alle spalle e credo ora il mercato della bicicletta possa solo crescere…». Nicola Rosin, 54 anni padovano, dal 2021, cioè a sei mesi circa da quando Aurora Vision Group di Abu Dhabi ha acquisito la Colnago, è consulente strategico Cycling del gruppo, ma soprattutto amministratore delegato di una delle aziende più iconiche dell’industria ciclistica italiana, un pezzo di storia sportiva e industriale del nostro Paese.
Dopo la pandemia e mesi di inattività forzata il mercato delle biciclette ha vissuto un paio di stagioni di boom con la produzione che non riusciva a star dietro alla domanda, poi c’è stata una forte flessione.
E ora?
«Ora siamo lentamente tornati ai dati pre-Covid. Ad un mercato più stabile che dà segnali positivi».
Quindi è tornato il sereno?
«Diciamo che per i prossimi due lustri le prospettive sono più che buone perché la bicicletta è un mezzo che incarna alla perfezione le nuove linee culturali e le nuove tendenze che si ispirano al benessere, alla sostenibilità, alla mobilità dolce che sta conquistando le città. Però ci sono nuove dinamiche industriali che bisogna saper cogliere».
Per esempio?
«Oggi nel mondo della bici si va a produrre praticamente di tutto. Credo invece sia necessario concentrarsi su un nuovo paradigma produttivo più ispirato alle competenze che non alle logiche di prezzo e di consumo».
Che è poi la strategia di questi anni scelta da voi di Colnago.
«Abbiamo fatto una scelta precisa. Dopo la pandemia ci siamo trovati a confrontarci con gruppi che proponevano di tutto, dalle city bike alle bici elettriche, dalla moutain bike alle bici più economiche. Noi siamo subito andati in controtendenza e abbiamo deciso di produrre solo bici di alta gamma. In pratica abbiamo deciso di fare una cosa sola ma molto bene».
Però alle spalle avevate una storia industriale e un nome, quello di Ernesto Colnago, che vi ha fatto pedalare in discesa…
«Sì certo, abbiamo trovato terreno fertile. Ernesto Colnago è un’icona nazionale, un mito sportivo e di impresa. Noi stiamo cercando di dare continuità a settant’anni di storia con un’azienda che però oggi ha un management consolidato e che ragiona con nuove logiche di mercato».
E i numeri vi stanno dando ragione?
«In questi anni il nostro business è più che triplicato. Nel 2020 la Colnago fatturava 17 milioni di euro e nel 2024 siamo arrivati a toccare quota 61 milioni. Le previsioni per quest’anno sono di un ulteriore balzo in avanti che dovrebbe portare ad attestarci in area 75 milioni».
Una mano ve l’ha data anche Tadej Pogacar, che con le vostre bici pedala e vince, anzi stravince.
«Quando siamo arrivati alla Colnago Tadej non era il campione che è oggi. In quell’anno vinse il suo primo Tour de France quasi a sorpresa battendo Primoz Roglic nell’ultima cronometro. Certo, oggi per noi è importante, un testimonial perfetto. Diciamo che è un importante ingrediente della nostra strategia industriale».
È parte del vostro brand che ha nelle bici l’immagine più alta, ma che in futuro potrebbe anche allargarsi ad altro…
«Il marchio Colnago oggi viene identificato con biciclette esclusive, oggetti del desiderio che racchiudono storia e alta tecnologia. Abbiamo ancora importanti passi da fare, ma credo che ci sia la possibilità di proposte che vadano oltre il nostro dna e la nostra storia purché esclusive e speciali. Stiamo già sperimentando nei settori dell’abbigliamento e dei viaggi».
Su tutto incombe però la spada di Damocle dei dazi: quanto vi preoccupano?
«Come tutti per ora viviamo l’attesa. Diciamo che in caso di dazi a un livello del 30% ci cambierebbe poco, perché il nostro è un prodotto di lusso. Se dovessero essere invece a livelli proibitivi come il 145%, allora sarebbe impossibile vendere».
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