La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina manda in bambola – è proprio il caso di dirlo – pure l’industria dei giocattoli. Mattel, colosso statunitense del settore, ha sospeso le sue previsioni finanziarie per l’intero anno a causa dei drastici aumenti in dogana e ha annunciato l’aumento di prezzo di alcuni prodotti di punta. Ad esempio, l’intramontabile Barbie. L’azienda californiana ha insomma accusato il colpo delle pesanti tariffe imposte da Washington contro Pechino, al punto che – durante la conferenza di presentazione dei primi dati trimestrali – il presidente e ceo Ynon Kreiz ha sollevato i temi del “contesto macroeconomico volatile” e dell’imprevedibilità della spesa dei consumatori americani “per il resto dell’anno e durante le festività natalizie”.
Il problema è serio: il 20% delle vendite statunitensi di Mattel deriva da prodotti realizzati in Cina, Paese che da solo copre il 40% della produzione globale dell’azienda. L’America, da parte sua, assorbe la metà del fatturato mondiale del gruppo. Per questo Mattel ha avviato un parziale disimpegno dalla Cina, aumentando ad esempio la produzione in India del gioco di carte Uno e cercando nuovi mercati per i prodotti fabbricati in Cina.
L’azienda californiana importa inoltre prodotti come le bambole Barbie e i giocattoli Hot Wheels da Indonesia, Malesia e Thailandia, anche questi Paesi colpiti dai dazi reciproci imposti dall’amministrazione Trump all’inizio di aprile, ma al momento sospesi per 90 giorni. Tale incertezza non rincuora certo il mondo dell’industria a stelle e strisce, che anzi vede concretizzarsi sempre più l’incubo di un effetto boomerang dovuto alla folle guerra incrociata delle tariffe commerciali
L’industria americana del giocattolo è in allarme: secondo la Toy Association, l’80% dei giochi venduti negli Stati Uniti arriva dalla Cina. E se Barbie piange, l’intero settore rischia il tracollo.
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