L’ammonica verde sarà il nuovo petrolio». Paolo Dellachà, ceo di De Nora, definisce così questa nuova commodity raccontando il maxi progetto saudita Neom, di cui la sua società è protagonista con la joint venture Thyssenkrupp Nucera. Ma cos’è concretamente questa sostanza e quali sbocchi rivoluzionari avrà per il mercato? Ammoniaca verde è il nome usato per indicare un processo di produzione del triidruro di azoto (NH3) a zero emissioni e alimentato solo da energia rinnovabile. Il suo utilizzo è cresciuto nel tempo e si stima che possa arrivare a 7,6 miliardi di dollari nel 2034 dagli attuali 4,4 miliardi (secondo Global Market Insights). Utilizzato per lo più per produrre fertilizzanti agricoli, è impiegato anche nella fabbricazione di plastiche, fibre sintetiche, farmaci o fluidi refrigeranti.
Non solo. È aggiunto alle vernici e agli esplosivi ed è uno sbiancante nell’industria cartaria. In altre parole, è un composto essenziale per la società moderna, e ancora di più in un mondo a trazione sostenibile.
La sua sintesi richiede essenzialmente due elementi: azoto e idrogeno. Se il primo è ottenuto per frazionamento dell’aria, il secondo è ancora oggi legato per lo più al syngas o alla separazione dai gas di cokeria. Il processo di sintesi è sempre lo stesso, ma nel caso dell’ammoniaca verde l’idrogeno è ottenuto dall’elettrolisi dell’acqua alimentata dalle energie rinnovabili. Uno sviluppo che non si limita alle applicazioni esistenti. Grazie al suo potere decarbonizzante, si sta espandendo a vari settori, come il trasporto delle navi. Inoltre, può essere utilizzato come vettore energetico per spostare l’idrogeno stesso: l’ammoniaca verde ha una maggiore densità di energia ed è più facile da liquefare. Questo la rende un’opzione pratica per lo stoccaggio di energia e il trasporto a lunga distanza, aumentando la domanda nel settore energie rinnovabili.
Il mercato è suddiviso in produzione di fertilizzanti, accumulo di energia, e-fuel, farmaceutica e altri. Le applicazioni nella produzione di fertilizzanti detengono la quota di mercato più grande, pari al 75,5% nel 2024, e lo sviluppo è crescente grazie al fatto che la produzione alimentare globale usa fertilizzanti azotati. Così, questo passaggio all’ammoniaca verde rende le pratiche agricole sostenibili e i fertilizzanti eco-compatibili. Sebbene i settori dell’energia e dei trasporti stiano esplorando l’ammoniaca verde per lo stoccaggio dell’energia e come alternativa al combustibile, i loro tassi di adozione sono attualmente inferiori rispetto all’agricoltura. Il settore chimico, infine, beneficia dell’ammoniaca verde per vari processi, e il suo utilizzo nei settori farmaceutici e tessili è di nicchia, ma in crescita.
De Nora è una delle aziende italiane in campo. «Abbiamo completato la consegna di circa 2,2 Gw di tecnologie per la produzione di idrogeno verde per il progetto Neom in Arabia Saudita», racconta a Moneta Dellachà. «Questo traguardo rappresenta il risultato di un percorso avviato nel 2023 e sviluppato progressivamente nel corso di oltre due anni; una volta pienamente operativo, il sito sarà in grado di generare fino a 600 tonnellate di idrogeno verde al giorno, alimentato esclusivamente da fonti rinnovabili. L’idrogeno prodotto sarà convertito in ammoniaca verde e distribuito a livello globale, contribuendo alla decarbonizzazione dei settori hard-to-abate e promuovendo lo scambio internazionale di energia pulita. Si stima che il progetto consentirà di evitare circa 5 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 all’anno».
Un progetto grande come cinque campi da calcio che è nei tempi (a regime a fine 2026) e che potrebbe essere replicato anche in altre aree. L’azienda guarda con interesse a un possibile sviluppo nelle aree di Taranto e Brindisi. «Siamo fornitori di questa tecnologia e siamo molto interessati ai futuri sviluppi in Puglia», ha aggiunto il ceo.
Oltre a De Nora sono in campo Maire (Nextchem), Edison, Eni, Enel, Hera, Snam. Va ricordato che l’idrogeno low-carbon, cioè blu o verde, rappresenta una soluzione alla decarbonizzazione di settori industriali altamente energivori e con emissioni difficili da abbattere (i cosiddetti hard-to-abate), laddove l’elettrificazione non rappresenta un’opzione percorribile o risolutiva. Ed è quindi al centro delle attenzioni europee. Anche Eni, in collaborazione con Enel, sta sviluppando progetti di produzione di idrogeno a partire da fonti rinnovabili attraverso l’elettrolisi dell’acqua: con la joint venture South Italy Green Hydrogen, creata dalle due società, sono tra i beneficiari italiani di Ipcei Hy2use, iniziativa di 13 Paesi della Commissione Europea che metterà a disposizione fino a 5,2 miliardi per il settore dell’idrogeno. Sostenuti da Ipcei Hy2use, i due impianti a idrogeno verde di South Italy Green Hydrogen saranno realizzati nella bioraffineria di Gela e nelle vicinanze della raffineria di Taranto. Gli elettrolizzatori avranno capacità rispettivamente di 20 MW e 10 MW. L’idrogeno che produrranno, ottenuto esclusivamente da fonti rinnovabili, contribuirà alla decarbonizzazione dei due stabilimenti.
L’idrogeno verde fa parte anche della collaborazione tra Cdp, Eni e Snam. Le tre società promuovono iniziative congiunte per lo sviluppo della produzione, del trasporto e della commercializzazione dell’idrogeno verde. La cooperazione riguarderà anche la produzione e l’uso di idrogeno nei trasporti ferroviari, facendo leva sulle competenze di Eni nella produzione elettrica e da energie rinnovabili e sulle competenze di Snam in ambito infrastrutture ed elettrolizzatori, nello stoccaggio e nelle soluzioni logistiche.
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