Scoppia la “rivolta” del riso in Giappone, dove l’Italia prepara lo sbarco del chicco made in Italy con l’Expo 2025 di Osaka. A prendere la scena all’esposizione universale è proprio il riso, prodotto simbolo del Paese del Sol Levante per il quale si sta prospettando una preoccupante “carestia”. Nonostante la produzione mondiale sia destinata, secondo la Fao, a raggiungere quest’anno un nuovo record a 551,6 milioni di tonnellate, la carenza del cereale più consumato al mondo sta mettendo in crisi la politica giapponese. Arrivato dalla Cina nel VI secolo a.C., è diventato presto l’alimento principale della cucina locale, alla base di piatti come il sushi ma anche del sakè, la bevanda nazionale. Nel Paese asiatico il riso rappresenta l’elemento principale della dieta, consumato a colazione, pranzo e cena. La crisi dei raccolti di riso ha messo in allarme i giapponesi, con il prezzo raddoppiato rispetto allo scorso anno e la disponibilità ridottasi per la corsa ad accaparrarsi le scorte. Le quotazioni al dettaglio alle stelle (ben al di sopra dei 5 euro al chilo), le lunghe file nei supermercati e i raccolti scarsi hanno costretto il premier Shigeru Ishiba a nominare una commissione governativa ad hoc per riformare la politica del settore ed evitare che la crisi si ripercuota sul voto di luglio per il rinnovo della Camera alta.
Tra le decisioni storiche, per alleggerire le tensioni sul mercato, anche quella di intaccare le riserve strategiche da usare in caso di carestie o disastri naturali. E queste misure hanno fatto risalire il consenso nei confronti del premier. Ma si fa anche largo la necessità di ricorrere a importazioni di emergenza in un Paese in cui, con l’abbandono delle campagne, i coltivatori sono arrivati a rappresentare meno dell’1% della popolazione. L’esperienza che sta vivendo il Giappone è senza dubbio rappresentativa di quello che può accadere in un Paese che non difende la propria agricoltura e sovranità alimentare. Sul fronte dell’Italia però questa situazione potrebbe rappresentare un’opportunità per aprire interessanti prospettive in un nuovo mercato. Con oltre la metà dell’intera produzione continentale, il Belpaese infatti è il primo produttore di riso in Europa con 1,4 milioni di tonnellate nel 2024. C’è dunque un’occasione da cogliere proprio a partire dall’Expo 2025 di Osaka dove l’Ente Nazionale Risi ha realizzato uno stand, inaugurato dal Ministro delle Politiche Agricole, Francesco Lollobrigida, per raccontare la filiera del riso Made in Italy in tutti i suoi aspetti produttivi, economici, ambientali e gastronomici.
«Il consumatore giapponese preferisce la varietà Japonica, dal chicco tondo e colloso mentre il riso da risotto italiano (tipo Arborio o Carnaroli), pur essendo sempre della sottospecie Japonica, ha un chicco più grande e meno colloso, ottimo per la mantecatura, ma non adatto a sushi o piatti giapponesi», ha affermato Emanuele Occhi, responsabile grandi colture della Coldiretti e consigliere dell’Ente Risi. Ciò nonostante – ha precisato – non si parte da zero e proprio in Italia è nata una filiera per la produzione di una varietà tipicamente adatta ai piatti giapponesi. S.i.s (Società Italiana Sementi spa), storica realtà sementiera bolognese che fa capo a Bonifiche Ferraresi e a Consorzi Agrari d’Italia, insieme a Jfc International, società leader nel settore dei prodotti alimentari asiatici e giapponesi, è partner nello sviluppo e commercializzazione di varietà di riso di alta qualità specificatamente idonee alla preparazione del sushi. Da questa collaborazione è partito il progetto di filiera per la coltivazione e trasformazione del riso tondo a granello cristallino denominato Yume che in giapponese significa “sogno”. Ed è proprio un sogno quello di avere una varietà italiana che rispecchia lo standard qualitativo giapponese, perfetta per i piatti asiatici. La coltivazione della varietà Yume avviene sul territorio italiano mediante la stipula di uno specifico contratto di filiera e la superficie di coltivazione è in continua crescita e ha raggiunto i 1000 ettari. Le aziende agricole che aderiscono alla filiera sono tenute a osservare rigorosamente le norme del protocollo tecnico di coltivazione, essiccazione e conservazione.
Se per ora “invadere” il mercato giapponese resta una suggestione va però sottolineato che nel 2024 le esportazioni di riso italiano nel mondo, secondo un’analisi dell’Osservatorio Coldiretti, hanno sfiorato 719mila tonnellate, in aumento del 9% rispetto all’anno precedente, con la Germania primo mercato, seguita dalla Francia. Sul piano qualitativo l’Italia può contare su ben tre riconoscimenti comunitari per il Riso di Baraggia Biellese e Vercellese Dop, Riso del Delta del Po Igp, Riso Vialone Nano Veronese. Per quanto riguarda la produzione, la superficie totale seminata a riso nel 2025 dovrebbe raggiungere i 233.570 ettari, con un incremento del 3,3% rispetto al 2024, secondo il sondaggio sulle semine realizzato dall’Ente Nazionale Risi. A crescere rispetto allo scorso anno dovrebbero essere soprattutto le varietà da mercato interno, adatte per il risotto: sono i nomi più noti come Sant’Andrea, Arborio e Carnaroli. In leggero aumento il Vialone nano. Il Piemonte occupa oltre la metà delle superfici destinate al riso in Italia con la Lombardia che segue da vicino, mentre più distaccate sono il Veneto, l’Emilia-Romagna e la Sardegna.
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