Starbucks ha deciso di cambiare strategia nel suo secondo mercato più importante al mondo. Il gruppo di Seattle ha annunciato la cessione del 60% della propria filiale cinese alla società d’investimento Boyu Capital, con sede a Hong Kong, per un valore di circa 4 miliardi di dollari. L’intesa prevede la creazione di una joint venture in cui Starbucks deterrà il restante 40%, mantenendo però la proprietà del marchio e della sua proprietà intellettuale. La sede operativa resterà a Shanghai e l’accordo dovrebbe chiudersi entro il secondo trimestre dell’anno fiscale 2026, dopo l’approvazione delle autorità cinesi.
La nuova entità gestirà circa 8000 punti vendita sparsi in tutto il Paese, un numero che il gruppo americano punta a più che raddoppiare nel medio periodo, arrivando a 20 mila store. Starbucks ha stimato che il valore complessivo della sua attività retail in Cina – tra ricavi da licenze, quota residua e incasso dalla vendita – supererà i 13 miliardi di dollari. Ma l’operazione, più che finanziaria, è strategica: segna la fine di un’era in cui la catena controllava direttamente la sua espansione nel Dragone e l’inizio di una fase in cui a guidarla sarà un partner locale.
Boyu Capital è uno dei principali fondi d’investimento cinesi, con partecipazioni nei settori dei consumi, della tecnologia e della distribuzione. Per Starbucks rappresenta il partner ideale per affrontare un mercato diventato sempre più competitivo e difficile da interpretare. Negli ultimi cinque anni la quota di mercato del gruppo americano si è più che dimezzata, passando – secondo stime Reuters – dal 34% al 14% del settore delle caffetterie. A spingerla verso il basso è la concorrenza agguerrita di player locali come Luckin Coffee e Cotti Coffee, che hanno conquistato i consumatori grazie a un modello di business “veloce e digitale”, prezzi più bassi (un cappuccino può costare meno di 10 yuan, contro i 30 di Starbucks) e una capillare rete di punti vendita nelle città di seconda e terza fascia.
La decisione di cedere il controllo nasce proprio da qui: Starbucks, che in Cina ha costruito la sua identità su un’esperienza premium, deve adattarsi a un consumatore più attento al prezzo e meno disposto a pagare per l’atmosfera dei suoi locali. L’ingresso di Boyu consentirà al gruppo americano di ridurre l’esposizione finanziaria e di affidarsi a una guida con maggiore conoscenza delle dinamiche locali, delle abitudini di consumo e delle relazioni politiche ed economiche necessarie per operare in un contesto sempre più regolamentato. La joint venture mira a espandersi oltre le metropoli di Pechino e Shanghai, puntando sulle città intermedie dove il consumo di caffè è in crescita ma ancora poco strutturato. Al tempo stesso, Starbucks continuerà a influenzare le strategie di brand e di prodotto, salvaguardando l’immagine globale e il posizionamento del marchio.
L’operazione riflette anche il rallentamento del mercato cinese, dove la domanda interna ristagna e la concorrenza sul prezzo è diventata una guerra quotidiana. Per Starbucks, cedere il controllo ma mantenere la rendita di licenza significa mettere al sicuro la redditività a lungo termine e liberare capitale da reinvestire altrove, in particolare sul mercato americano, dove l’azienda sta affrontando la pressione dei sindacati e l’aumento dei costi operativi.
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