Un dazio al 100% su tutti i film imposti all’estero e poi distribuiti negli Stati Uniti. È l’ennesima minaccia di Trump, già anticipata nel maggio di quest’anno, che estende il protezionismo trumpiano anche all’industria culturale. La misura potrebbe mandare gravemente in crisi il settore cinematografico, profondamente interconnesso con le produzioni transfrontaliere.
“La nostra industria cinematografica è stata rubata agli Stati Uniti d’America da altri Paesi, proprio come rubare una caramella a un bambino”, ha scritto Trump in un post sul suo social Truth.
Non è chiaro però in che modo Trump vorrebbe imporre questa ennesima tariffa doganale. “C’è troppa incertezza, e questa ultima mossa solleva più domande che risposte”, ha affermato Paolo Pescatore, analista di PP Foresight. “Al momento, per come stanno le cose, è probabile che i costi aumentino, e questo inevitabilmente verrà scaricato sui consumatori”, ha aggiunto.
Intanto però le azioni di Paramount Skydance e Warner Bros Discovery sono scese rispettivamente del 2,1% e dell’1,3%.
Resta difficile in effetti immaginare come potrebbe funzionare un dazio sui film, in che modo verrebbe applicato. Oggi infatti le produzioni sono frutto di un mix di produzioni, post produzioni ed effetti distribuiti da altri paesi. Hollywood si è affidata sempre più a centri di produzione esteri come Canada, Regno Unito e Australia. Molto comuni sono le coproduzioni con studi stranieri, in particolare in Asia ed Europa, dove i partner locali forniscono finanziamenti, accesso ai mercati e reti di distribuzione.
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