Un’invasione silenziosa, ma travolgente. L’ultra-fast fashion sta erodendo le fondamenta del nostro settore tessile, minacciando filiere produttive, occupazione, creatività e persino la reputazione internazionale dei nostri brand. Dietro abiti a pochi euro e consegne rapidissime si nasconde infatti un sistema che, secondo il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, non rispetta né le regole ambientali né quelle del lavoro. Un fenomeno “nuovo” e “gigantesco”, che si sta riversando sul mercato europeo come “una vera e propria invasione”, complice l’effetto indiretto dei dazi americani sui prodotti cinesi e vietnamiti.
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“La reputazione dei nostri brand, costruita nel tempo come sinonimo di qualità e saper fare italiano, è oggi sotto attacco, sia sul fronte interno che internazionale. Dobbiamo contrastare subito questa duplice grave minaccia”, ha dichiarato Urso, spiegando anche come questa reazione deve avvenire. Ovvero, “garantendo la piena legalità della nostra filiera produttiva e, nel contempo, fermando l’ondata dell’ultra fast fashion che monta anche quale effetto indiretto dei dazi americani sui prodotti cinesi”.
L’ultra-fast fashion è un settore in rapida espansione a livello globale: secondo Usd Analytics, il mercato mondiale crescerà da 154,6 miliardi di dollari nel 2025 a circa 280 miliardi entro il 2034, con un tasso annuo di crescita del 6,8%. In Italia, i dati di Cognitive Market Research mostrano un aumento delle vendite da 2,77 miliardi di dollari nel 2023 a una previsione di 7,5 miliardi entro il 2026, confermando un forte e inquietante sviluppo del fenomeno anche nel mercato nazionale.
La questione non può dunque essere rimandata: il ministro ha annunciato per mercoledì 15 ottobre una riunione urgente con i vertici del settore. Al tavolo convocato da Urso parteciperanno il presidente di Confindustria Moda, Luca Sburlati, il presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, Carlo Capasa, e il presidente di Fondazione Altagamma, Matteo Lunelli, insieme ai presidenti di Confartigianato Moda e di CNA Moda. Secondo quanto comunica il Mimit, l’incontro servirà a definire misure per la tutela della reputazione del Made in Italy e per contrastare l’invasione dei prodotti del fast fashion, oltre a fare il punto sulle ulteriori iniziative in vista del Tavolo della Moda già fissato per il 17 novembre.
“Servono immediati interventi”
“L’Italia non può permettersi di disperdere questo patrimonio di eccellenza, creatività e occupazione, orgoglio del Made in Italy nel mondo. Per questo siamo al lavoro, insieme con tutti gli attori del comparto, per realizzare immediati interventi legislativi, che possano anche meglio contrastare il fenomeno del caporalato, accrescendo il valore del vero Made in Italy”, ha aggiunto Urso.
Intervistato da Radio anch’io, Urso ha invocato un intervento anche a livello europeo: “L’Unione europea dovrebbe intervenire contro l’invasione dell’ultra fast fashion imponendo dazi come è accaduto per l’acciaio”. Il riferimento è alle misure di salvaguardia ottenute nel comparto siderurgico, con “50% di dazi in più nei confronti della Cina e dimezzamento delle quote”. “Lo stesso deve fare per quanto riguarda altri settori come questo”, ha sottolineato il ministro.
Il falso Made in Italy
A preoccupare è anche il ruolo delle piattaforme digitali, accusate di favorire la diffusione su larga scala di prodotti spacciati per italiani ma provenienti dalla Cina. “Milioni di europei stanno ricevendo nelle loro case prodotti che sembrano prodotti italiani ma sono realizzati in Cina a basso costo e senza alcun rispetto per le norme ambientali e del lavoro – ha spiegato Urso – Siamo intervenuti su un provvedimento che è in corso di approvazione al Senato, ma è necessario che la Commissione Ue predisponga misure di salvaguardia contro questo effetto dei dazi americani”.
Sul fronte economico, qualche spiraglio positivo: “Il potere d’acquisto degli italiani è tornato a crescere, l’inflazione è all’1,6%, finalmente sotto la media europea, e questo ci fa ben sperare che siamo sulla strada giusta”, ha concluso Urso. Ma continuare a difendere il Made in Italy dalla minaccia del fast fashion non è solo una questione di mercato: la sfida strategica riguarda l’identità industriale e culturale del Paese.
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