Fabio Vaccarono è presidente esecutivo di Multiversity, gruppo leader dell’education in Italia e primo in Europa nella formazione digitale. Già vice presidente di Google, ceo di Google Italia e nel board di Google Emea. In precedenza ha ricoperto posizioni di ceo e direttore generale nel settore media, dal gruppo L’Espresso-Manzoni al gruppo Sole 24 Ore e Rcs Mediagroup. È stato ceo di Publicis Groupe Media. Ha un Mba Sda Bocconi e ha iniziato la sua carriera in Bain & Company.
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Dottor Vaccarono, come descriverebbe il suo percorso da Bain a Google, fino alla guida di Google Italia?
«Consulenza, comunicazione, trasformazione digitale dei media, editoria, digitalizzazione, anche del sistema universitario: il fil rouge del mio percorso è stato il cambiamento e la trasformazione delle industrie attraverso il digitale. Settori dove il futuro ha preso forma».
Cosa l’ha spinta a lasciare Google dopo dieci anni per nuove sfide?
«Il digitale sta rivoluzionando tutti i settori. Compresa la formazione superiore, un ambito strategico per il nostro Paese, stante il suo grande ritardo negli indici di sviluppo del capitale intellettuale. Solo la digitalizzazione può rendere il sapere e l’università realmente inclusivi, tenendo tutti a bordo in un mondo che cambia».
Qual è la visione di Multiversity e come si è evoluta negli ultimi anni?
«La visione nasce da una parola: Multiversity. Non un a sola università, ma molte. Un sistema che riconosce la diversità dei percorsi, delle vite, dei bisogni delle persone. Nel tempo questa visione si è evoluta in un modello articolato, che oggi chiamiamo università».
In un mercato dell’istruzione superiore, sempre più competitivo, come pensa di distinguersi Multiversity per mantenere una posizione di leadership?
«In generale, gli atenei digitali si distinguono perché non offrono solo corsi, ma costruiscono modelli di apprendimento innovativi. Sono ambienti flessibili, dinamici, progettati attorno alle necessità reali degli studenti. Qui la tecnologia non sostituisce la relazione educativa, ma la amplifica: tutoring, piattaforme personalizzate, feedback continui, percorsi adattivi».
Quale il punto di forza?
«L’inclusione. Oggi oltre l’85% degli studenti delle università digitali lavora, molti vivono lontani dai poli universitari, altri hanno interrotto gli studi o cercano una seconda opportunità. È per tutte queste persone che il digitale diventa non un’alternativa, ma una possibilità concreta».
In che modo l’università sta integrando le tecnologie più avanzate come l’intelligenza artificiale per potenziare l’esperienza di apprendimento degli studenti?
«L’intelligenza artificiale, oggi, è parte integrante dell’esperienza formativa. Nei Paesi Ocse il 65% dei sistemi educativi utilizza già strumenti digitali per monitorare l’apprendimento e oltre la metà ha integrato piattaforme basate sull’IA: un segnale che la direzione è ormai tracciata e che l’ibridazione tra dimensione umana e dimensione digitale è un dato strutturale del sapere contemporaneo. Questo si riscontra anche nella percezione degli studenti: oltre il 93% valuta positivamente l’esperienza formativa (il 51% si dichiara molto soddisfatto, il 42,8% abbastanza). Un dato che conferma come l’integrazione tra intelligenza umana, tecnologie digitali e ambienti di apprendimento online non riduca la qualità, ma la declini in forme nuove, più vicine all’esperienza reale delle persone».
Come bilanciare le esigenze di flessibilità, tipica della formazione telematica, con il mantenimento degli standard qualitativi e un contatto umano efficace?
«La vera sfida non è scegliere tra flessibilità e qualità, ma farle convivere dentro una struttura unica. La piattaforma diventa un ambiente pedagogico che permette una personalizzazione più profonda e rende la relazione educativa continua, meno episodica. In questo modello il docente diventa un vero e proprio architetto dell’apprendimento, capace di guidare, orientare e progettare percorsi che si adattino ai bisogni reali degli studenti».
Quali sono i prossimi grandi trend che rivoluzioneranno la formazione online e come si sta preparando Multiversity?
«La formazione digitale sta entrando in una fase in cui personalizzazione radicale, ambienti immersivi e nuove dinamiche tra università e imprese convergono in un unico movimento di trasformazione. Allo stesso tempo, gli ambienti digitali diventano spazi ibridi e immersivi, in cui la distanza non separa ma connette, e in cui la relazione tra studenti, docenti e tecnologie assume forme nuove, più fluide e più vicine al modo in cui oggi viviamo e lavoriamo».
Qual è stata la sfida più grande che ha affrontato alla guida di Multiversity e come l’ha superata?
«Operare in una realtà dove la formazione è fortemente legata alla presenza fisica, a rituali accademici e modelli educativi che cambiano con estrema lentezza, significa confrontarsi con una cultura che non riconosce il pieno valore dell’innovazione e percepisce l’online come un’alternativa minore. La sfida, soprattutto perché ci sono ancora ampie sacche di resistenza, è guadagnare credibilità in un contesto poco incline al cambiamento e dimostrare la validità di un modello educativo alternativo».
Come si guadagna concretamente la credibilità?
«Lavorando continuamente sull’eccellenza, investendo in docenti di grande competenza, tecnologie avanzate, tracciabilità dei percorsi, tutoraggio e in servizi che mettono davvero lo studente al centro».
Come viene gestita la percezione, a volte ancora presente, che una laurea telematica possa essere meno valida di una tradizionale?
«Le indagini ci restituiscono un quadro ben diverso da quello comunemente percepito. Gli studenti delle università digitali ottengono risultati pienamente in linea con le università tradizionali, sia negli esami di ammissione agli albi professionali sia nell’ingresso nel mondo del lavoro. Per i lavoratori-studenti si registra un avanzamento di carriera e un incremento degli stipendi dopo la laurea».
L’Italia sconta un ritardo nella formazione continua (lifelong learning). Che ruolo può e deve giocare un’università telematica nel colmare questo gap?
«Nel 2023 la partecipazione degli adulti tra i 25 e i 64 anni ad attività formative, formali e non formali, ha raggiunto l’11,6%, segnando un aumento di 2 punti percentuali rispetto al 2022. Nonostante questo progresso, il Paese continua a registrare un forte ritardo rispetto alla media europea sul fronte delle competenze digitali: solo il 46% della popolazione ha, infatti, digital skills di base. In un contesto in cui il digitale permea ogni settore, questo doppio ritardo rischia di escludere molti lavoratori dalle opportunità della transizione tecnologica. Gli atenei telematici come quelli del gruppo Multiversity colmano questo divario con percorsi flessibili e online e permettendo di acquisire rapidamente le competenze richieste dal mercato digitale. In sintesi: elimina problemi temporali ed economici e rende il lifelong learning accessibile, sostenibile e allineato alle esigenze del presente».
Mi dice se il trend delle università telematiche, numeri alla mano, è in crescita o in calo?
«Negli ultimi dieci anni, l’Italia ha registrato una crescita significativa nel numero di laureati, che sono aumentati del 40%, passando da 287mila nel 2014 a oltre 400mila nel 2024. Questa notevole espansione è stata trainata in gran parte dagli atenei digitali, i quali, pur rappresentando solo il 2,6% dei laureati totali dieci anni fa, oggi ne formano quasi uno su cinque, avendo guadagnato 63.000 unità contro le 50.000 degli atenei tradizionali nello stesso periodo. Questi numeri dimostrano che esiste una domanda stabile, consistente, e destinata a crescere nel tempo».
Chi sono i maggiori fruitori delle università telematiche?
«Oltre l’85% degli iscritti alle università digitali sono studenti lavoratori, persone che vivono condizioni professionali, familiari o geografiche incompatibili con l’offerta accademica tradizionale».
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