Vino, fiore all’occhiello dell’agroalimentare Made in Italy. Con la vendemmia 2025 l’Italia si conferma primo produttore al mondo davanti alla Francia ma non festeggia, nonostante un raccolto definito quest’anno da buono a ottimo dal punto di vista qualitativo e quantitativo. A pesare sulla prima voce dell’agroalimentare sono infatti l’andamento dei consumi a livello internazionale, i dazi americani e gli ingiustificati allarmismi salutistici su un prodotto che fa parte a pieno titolo della dieta mediterranea. Le ultime previsioni parlano di una vendemmia 2025 che dovrebbe superare in Italia i 47 milioni di ettolitri, secondo le analisi di Assoenologi, Unione italiana vini (Uiv) e Ismea, con il contributo del Masaf e delle Regioni. Si tratta di un incremento dell’8% rispetto alla scorsa campagna con i volumi in linea con quelli del 2021 e 2022, dopo il forte calo delle ultime due annate. Una produzione che conferma il primato produttivo mondiale dell’Italia, seguita nella classifica globale da Francia (37,4 milioni di ettolitri) e Spagna (36,8 milioni di ettolitri). A spingere la produzione nazionale è sicuramente il Mezzogiorno, dove il raccolto registra un balzo a due cifre (+19%) dovuto soprattutto alla Puglia che, con un +17%, si classifica come la seconda regione produttrice. In forte aumento anche Basilicata (+40%), Abruzzo, Molise (+25%) e Sicilia (+20%). In crescita la produzione, ma con quantità più contenute, al Nord con +15% in Lombardia, +10% in Friuli-Venezia Giulia seguite dal Trentino-Alto Adige (+9%) e Veneto (+2%). Nel Centro Italia, invece, si registra un forte calo in Toscana (-13%) mentre aumenta in Umbria (+10%), Marche (+18%) e Lazio (+5%). Il Veneto si conferma la principale regione produttiva italiana, seguita da Puglia e Emilia-Romagna.
il calice in numeri
Il comparto vale oltre 14 miliardi di euro con 241mila imprese coinvolte, su 675mila ettari coltivati a vite lungo la Penisola. Con un assetto proprietario che secondo Mediobanca resta fortemente ancorato alla dimensione familiare: il 65% del patrimonio netto è infatti detenuto da famiglie, quota che sale all’81,5% se si considerano anche le cooperative. Senza dimenticare l’indotto: dietro ogni bottiglia ci sono 1,3 milioni di persone tra agricoltori, enologi, cantinieri, venditori, comunicatori, secondo una analisi della Coldiretti. Il risultato messo a segno dall’Italia condiziona in misura rilevante il settore a livello europeo dove la produzione di vino resta quest’anno sostanzialmente stabile (+2,1%) grazie anche al recupero parziale delle perdite dello scorso anno da parte della Francia, mentre la Spagna dovrebbe scendere a 36,8 milioni di ettolitri. Seguono, a distanza, Germania e Portogallo, con rispettivamente 8,4 e 6,2 milioni di ettolitri. «A livello Ue, si prevede che la vendemmia 2025 sarà lievissimamente più abbondante rispetto al 2024. Quest’anno, tuttavia, le preoccupazioni non sono state guidate solo dalle previsioni meteorologiche. La politica commerciale e, in particolare, le recenti notizie sulle tariffe statunitensi, sono diventate questioni centrali per la sostenibilità a lungo termine del settore. Ci troviamo a guardare sia il cielo che le notizie tv», ha affermato Ignacio Sánchez Recarte, segretario generale del Comité Européen des Entreprises Vins (Ceev), l’associazione che rappresenta le aziende vinicole europee nell’industria e nel commercio di vino. Il vino italiano conferma tutte le sue medaglie (non solo leadership produttiva mondiale, ma anche secondo posto per fatturato e terzo per i quantitativi consumati a livello nazionale), ma non mancano tuttavia motivi di preoccupazione per gli operatori del settore. L’ultimo, in ordine di tempo, è l’entrata in vigore dei dazi al 15% negli Usa che sono il principale mercato di sbocco del vino made in Italy. Secondo Lamberto Frescobaldi, grande produttore, gli effetti si stanno facendo sentire sui principali esportatori con i prezzi del vino italiano alla dogana che sono calati in media da 6,30 dollari a 5,60 dollari, negli ultimi tre mesi, con una perdita netta del 10% per i produttori nazionali. Un allarme sul quale è intervenuto il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare, Francesco Lollobrigida: «Stiamo lavorando – ha detto – a una politica di esenzioni sul pacchetto vino nella seconda fase trattativa con gli Usa che sono un mercato importantissimo al quale non intendiamo rinunciare. Abbiamo avuto una crescita nel primo trimestre dell’esportazione anche verso mercati che sono condizionati da un sistema tariffario che non condividiamo, ma che riteniamo assorbibile per alcuni settori. Nonostante questo stiamo lavorando, in particolare la presidente Meloni, per convincere gli amici statunitensi a rivedere le posizioni sulle tariffe legate a questo settore. Nel frattempo lavoriamo con l’Ice in particolare sui mercati esteri». E una conferma viene dal presidente Ice, Matteo Zoppas. «L’Agenzia rafforza il suo ruolo a supporto del Made in Italy sostenendo le imprese italiane con strategie diversificate. Tra queste l’organizzazione di Vinitaly Usa Chicago e Simply Italia a Miami e Dallas; la promozione di alleanze con partner statunitensi (importatori, distributori, ristoratori) per iniziative congiunte di sensibilizzazione contro i dazi; l’apertura di nuove traiettorie di internazionalizzazione accelerando la diversificazione verso nuovi mercati, a partire dall’India, un mercato che può diventare importante se si riesce a sbloccare i dazi del 150% sul nostro vino». Nel primo semestre 2025 – ha aggiunto Zoppas- «abbiamo già realizzato 20 iniziative promozionali dedicate al vino, che hanno coinvolto oltre 240 aziende del settore e 440 operatori, e altre 35 sono in valutazione. La qualità del vino italiano e il nostro impegno nel percorso di education&tasting ci permetteranno di superare anche questa fase di mercato saturo, consolidando la leadership internazionale del settore».
l’aiuto del pnrr
In soccorso del mondo del vino è intervenuto anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che dimostra una particolare attenzione al settore. «Se sommiamo le risorse del Pnrr ai fondi già stanziati attraverso il Piano nazionale per gli investimenti complementari (Pnc) abbiamo a disposizione quasi 350 milioni di euro di agevolazioni per il settore vino, che fanno un effetto leva di oltre 600 milioni», ha affermato Sergi[/TESTO-BASE]o Marchi, il direttore generale di Ismea, l’Istituto che su mandato del Masaf, è soggetto attuatore della misura denominata Fondo Rotativo Contratti di Filiera (Fcf) finanziata dalle risorse del Pnrr e al contempo svolge attività di assistenza tecnica e supporto connesse all’attuazione dei programmi del Piano Nazionale Complementare (Pnc).
Ma sono i consumi gli osservati speciali che devono fare i conti con la demonizzazione dell’alcol. Dalla minaccia dell’obbligo di etichette allarmistiche alle limitazioni all’attività di promozione fino alle campagne di criminalizzazione sono numerosi i fronti di attacco al settore che possono influenzare negativamente le scelte dei consumatori. «È inaccettabile che il vino venga assimilato a prodotti nocivi per la salute. Il vino, consumato in modo responsabile, è parte integrante della dieta mediterranea, riconosciuta dall’Unesco come patrimonio immateriale dell’umanità. È un alimento simbolico, che unisce convivialità, paesaggio e benessere», ha affermato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, nel precisare che «riavvicinare le nuove generazioni al vino significa educarle al gusto, alla responsabilità, alla conoscenza del territorio. Difendere il vino significa difendere milioni di imprese, famiglie e una cultura millenaria che ha fatto grande l’Italia nel mondo». Gli acquisti sono infatti in calo da anni in tutti i Paesi più sviluppati a partire dagli Stati Uniti che rimangono il principale mercato ma registrano una riduzione del 9% negli ultimi 5 anni con il consumo di alcolici che è sceso al livello più basso degli ultimi 90 anni. In Italia, nonostante la ricca vendemmia, le giacenze rimangono stabili per effetto dei raccolti contenuti degli ultimi due anni ma le preoccupazioni restano e si è aperta la discussione sull’esigenza di contenere la produzione e ridurre le rese. Una scelta fatta in Francia dove sono stati estirpati 20mila ettari di vigneto, negli Stati Uniti con il 10% della produzione della California che non è stata raccolta e in nuova Zelanda dove non tutta l’uva sarà vendemmiata. Sul tema è intervenuto Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi, sottolineando la necessità di porre fine alle distorsioni di mercato per rendere accessibile il vino ad una più ampia platea di consumatori. «Il costo di produzione della gamma top di un vino non supera i 40 euro e non è accettabile che nei ristoranti vengano offerte bottiglie anche a 300 euro. Così si rischia di perdere il feeling tra produttore e consumatore», ha precisato. «Occorre un patto di solidarietà in tutta la filiera che coinvolga anche la ristorazione», ha affermato Diana Lenzi, responsabile dell’Ufficio vitivinicolo della Coldiretti, nel sottolineare che «è molto importante l’impegno del ministro di destinare fondi alla promozione, non solo per i mercati esteri, ma anche per rilanciare il consumo interno».
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