Regole, cavilli, parametri stringenti e certificazioni. Scartoffie, tabelle e scadenze vincolanti. Così l’Europa pensa di salvare il Pianeta. Sinora, tuttavia, l’unico risultato ottenuto è stato quello di compromettere un intero ecosistema: quello delle imprese. In base a una direttiva stabilita da Bruxelles, infatti, migliaia di aziende sono già oggi tenute a redigere un bilancio annuale di sostenibilità, ovvero un documento che spiega come un’impresa opera in modo responsabile verso l’ambiente, le persone, la società (i cosiddetti parametri Esg) e come questi fattori influenzano la sua situazione finanziaria. Nella teoria, si tratta di un passo in avanti verso un’economia più responsabile e competitiva. Nella pratica, invece, accade l’esatto contrario: le imprese vengono infatti sommerse da una montagna di adempimenti e di costi che ne ostacolano la crescita. Così, tra complessità e oneri aggiuntivi, l’ennesima prescrizione targata Ue si traduce in una zavorra burocratica poco sostenibile dal punto di vista economico.
Per redigere un bilancio Esg, del resto, servono competenze specifiche in quanto l’Europa chiede di rendicontare tutto con estrema precisione: emissioni dirette, consumi energetici, impatti sociali e persino emissioni indirette (le cosiddette Scope3), ovvero quelle prodotte da fornitori, clienti, trasportatori o dallo smaltimento dei prodotti. Il delirio contabile è servito, anche perché gli articolati processi di rendicontazione assorbono tempo e risorse dalle imprese, distogliendole dalle loro principali attività. Molte aziende di medie dimensioni si trovano dunque a sostenere oneri gestionali e organizzativi superiori alle loro effettive capacità, con conseguenze negative facilmente immaginabili. Uno studio del Parlamento europeo stima che preparare un bilancio di sostenibilità rispettoso degli standard richiesti costi in media oltre 100mila euro per un’impresa di medie dimensioni. Per le piccole aziende la cifra è inferiore ma comunque proibitiva. Talvolta, vista la complessità della rendicontazione, sono necessarie revisioni esterne che in media pesano per altri 30-40mila euro.
Secondo un report pubblicato da Springer Nature, il 60% dei costi è attribuibile proprio alla raccolta e alla preparazione dei dati mentre il restante 40% è riconducibile all’adattamento ai nuovi obblighi targati Ue. Nel concreto, per arrivare all’uscita di questo labirinto normativo costruito nel nome della sostenibilità, le imprese ci mettono in media da otto e dodici mesi. E a quel punto nemmeno possono tirare un sospiro di sollievo, perché devono sempre stare al passo con gli standard che evolvono, con le interpretazioni che cambiano e con le ambiguità che si insinuano tra le pieghe della graduale attuazione della direttiva.
Strada in salita
Attualmente l’obbligo di rendicontazione riguarda le imprese quotate con oltre 500 dipendenti e determinati requisiti di bilancio. Dal 2028 (traguardo fissato a seguito di una recente proroga), il bilancio Esg dovrà essere pubblicato anche dalle imprese non quotate con oltre mille dipendenti e con fatturato pari o superiore a 40 milioni di euro. Dal 2029 toccherà alle piccole e medie imprese quotate e alle aziende extra-Ue con filiali nel Vecchio Continente. Si prevede che, in tre anni, oltre 10mila imprese italiane saranno assoggettate ai vincoli della rendicontazione green: un aumento esponenziale, considerando che la precedente direttiva (peraltro meno stringente) riguardava circa 200 imprese tricolori.
Benché gravoso e non privo di ostacoli burocratici, il futuro non deve però far paura. In un contesto puntellato da vincoli e regole, emergono infatti anche esempi virtuosi di come la tecnologia e l’innovazione permettano alle imprese di affrontare la rendicontazione green in modo più agile.
Al riguardo, nel panorama delle startup innovative si è fatta strada negli ultimi anni una realtà tutta italiana che grazie all’intelligenza artificiale ha ridefinito e trasformato la sostenibilità aziendale. TreeBlock, guidata dal ceo Stefan Grbovic, ha ideato infatti una soluzione software integrata che aiuta le imprese a semplificare la raccolta, l’analisi e la reportistica dei dati Esg, automatizzando gran parte del lavoro contabile, riducendo i tempi e dimezzando i costi. Grazie all’uso dell’intelligenza artificiale e della tecnologia blockchain (che assicura la veridicità dei dati), le imprese possono allinearsi facilmente agli standard europei, garantendo conformità normativa e trasparenza, senza essere sopraffatte dalla complessità. Il sistema accelera in modo sensibile i procedimenti: di recente, TreeBlock ha redatto il bilancio di sostenibilità di un’azienda da 1200 dipendenti in quattro mesi, a fronte degli undici preventivati inizialmente senza l’ausilio del moderno software. «La sostenibilità non può limitarsi a essere un obbligo da assolvere ma deve diventare un’opportunità di crescita per le imprese», ha dichiarato Grbovic a Moneta.
Peccato che a Bruxelles abbiano iniziato a capirlo molto tardi e pure a stento. Solo dopo aver partorito una babele normativa, l’Ue ha messo di recente a punto un pacchetto di proposte per semplificare le regole sulla sostenibilità, ripromettendosi di ridurre gli oneri amministrativi di almeno il 25% e quelli per le pmi di almeno il 35% entro la fine del presente mandato. Secondo i promotori, le proposte potrebbero portare a risparmi complessivi annuali di circa 6,3 miliardi. Auguri.
Ritardo cronico
Perché non è la prima volta che l’Europa promette di rivedere il proprio approccio oltranzista al tema della sostenibilità, salvo poi disattendere i buoni propositi ed elaborare nuove incombenze per cittadini e imprese. Nei giorni scorsi, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si era soffermata sul punto così: «Sappiamo cosa ostacola la competitività nell’Ue: la mancanza di accesso al capitale per le imprese in espansione, la burocrazia, i tempi lunghi. Competitività e clima devono andare insieme». Tutto giusto, benché assai tardivo. Al momento, però, le prescrizioni Ue sull’ambiente pesano come una zavorra sulle imprese e ad alleviare questo carico è solo l’iniziativa privata.
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