Nella nuova corsa alle stelle, l’Italia non si perde in contemplazioni, ma ha già acceso i motori e tracciato la traiettoria. La space economy – l’economia legata alle attività spaziali – è un mercato in forte espansione, che secondo le stime del World Economic Forum raggiungerà a livello globale i 1.800 miliardi di dollari entro il 2035, triplicando il valore attuale. Uno slancio che promette opportunità straordinarie, e che trova l’Italia in una posizione privilegiata per giocare un ruolo da protagonista nella partita più alta di tutte: tra infrastrutture, competenze e ricerca, la space economy tricolore è una galassia in espansione.
A confermare le ambizioni italiane è innanzitutto l’ampiezza della sua filiera. L’Italia è uno dei pochi paesi al mondo a possedere un ecosistema spaziale integrato: dall’accesso allo spazio alla produzione di satelliti, dall’elaborazione dei dati ai poli universitari e di ricerca, con una distribuzione delle attività su tutto il territorio, partendo dal Piemonte per passare dal Lazio e arrivare fino in Puglia, in una rete industriale e accademica fortemente interconnessa. Qui convivono gruppi industriali come Leonardo, Avio, Thales Alenia Space e Telespazio, affiancati da centinaia di Pmi e startup ad altissima specializzazione. Un tessuto produttivo che si estende fino alla frontiera dell’esplorazione lunare. Non per niente, la prima casa permanente che si vuole costruire sulla Luna sarà proprio un progetto a guida italiana.
A coordinare tutto, l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), una delle nove agenzie spaziali nazionali al mondo, che ogni anno gestisce oltre 1 miliardo di dollari di investimenti. Ed è proprio sul piano economico che l’Italia fa registrare un posizionamento distintivo: è il sesto paese al mondo per rapporto tra investimenti e Pil e il terzo in Europa, dopo Germania e Francia. Un rapporto che negli ultimi anni è quasi raddoppiato, grazie alla crescita esponenziale delle risorse dedicate (+9,5% annuo), alimentato dal Pnrr e dai fondi europei destinati al comparto. «L’Italia intende assumere un ruolo guida nella preparazione e nella definizione della strategia spaziale europea – ha detto qualche giorno fa il ministro Adolfo Urso, in qualità di autorità delegata alle politiche spaziali e aerospaziali del governo – (…) Siamo in un passaggio cruciale: il futuro dell’Europa nello spazio si gioca adesso e vogliamo essere protagonisti». E proprio alla prossima conferenza dell’European Spatial Agency (Esa, l’agenzia spaziale europea), in programma a novembre, l’Italia – insieme alla Germania – potrebbe annunciare un aumento significativo del contributo al bilancio dell’agenzia europea per il triennio 2026-2028.
L’Italia indica all’Europa la rotta per lo spazio anche in tema normativo. Con l’approvazione definitiva del disegno di legge sulla space economy, avvenuta proprio questo mese, l’Italia è diventata il primo paese europeo a dotarsi di un quadro normativo ad hoc. La legge rafforza la sovranità tecnologica nazionale e affida nuovi compiti all’Asi: poteri di regolazione tecnica, vigilanza, autorizzazione e persino sanzione, come una vera autorità di settore. «Una scelta lungimirante che proietta il nostro sistema industriale nel futuro», ha commentato il ministro Urso, sottolineando come la norma rappresenti un modello per l’intera Ue, in un’epoca che vede uno spazio sempre più affollato diventare dominio di competizione non più solo tra Stati, ma anche con e tra privati.
Se lo Stato traccia la rotta, le imprese italiane sono i motori del decollo. Tra i campioni nazionali impegnati nella corsa spaziale, Avio si ritaglia un posto d’onore, essendo coinvolta nell’ambito del programma spaziale Vega sui razzi e del progetto Ariane, il più grande lanciatore satellitare europeo. Non per niente, il gruppo torinese ha chiuso il 2024 con un portafoglio ordini record di 1,7 miliardi di euro, in crescita del 27%. Leonardo, dal canto suo, ha recentemente annunciato il lancio di una costellazione di circa 40 satelliti entro il 2028, con un investimento da 1,35 miliardi di euro. La controllata Thales Alenia Space ha ottenuto dall’Agenzia spaziale europea un contratto da 862 milioni di euro per sviluppare il veicolo Argonaut, destinato al trasporto di carichi sulla Luna. E poi c’è il Centro Spaziale del Fucino, gestito da Telespazio: il più importante teleporto civile del mondo, dove si controllano satelliti e si gestiscono trasmissioni globali.
Ma l’ecosistema italiano non è fatto solo di colossi. Oltre 400 aziende partecipano alla space economy nazionale, di cui il 66% sono Pmi e il 27% startup. Una rete che genera circa 3 miliardi di euro di fatturato annuo, con esportazioni per 7,5 miliardi. È il segnale di una vitalità diffusa e di un potenziale ancora da esplorare, tra realtà più note, come la padovana Officina Stellare, che progetta telescopi per uso aerospaziale, e startup innovative, come D-Orbit, specializzata in logistica spaziale. Tra i player italiani attivi nel business spaziale figura anche il Centro Elettrotecnico Sperimentale Italiano (Cesi) che quest’anno ha inaugurato la sua nuova linea di produzione di celle solari per applicazioni spaziali nei laboratori di Milano e prevede un investimento di oltre 20 milioni di euro, di cui oltre un terzo proveniente dal programma Space Factory 4.0 dell’Asi collegato al Pnrr, per triplicare la capacità produttiva (ad oggi risulta oltre 200.000 celle solari realizzate per più di 100 satelliti). La società, che vede Terna ed Enel come primi due azionisti con oltre il 42% ciascuno, risulta una delle sole quattro aziende al mondo che producono celle solari per applicazioni spaziali civili e sempre quest’anno ha creato la divisione Cesi Space, interamente dedicata al settore spaziale.
E se il futuro tra le stelle sarà sempre più competitivo, l’Italia è già orbita e pronta a guidare l’Europa verso la giusta rotta, confermando la sua lunga tradizione, iniziata nel 1964 con il lancio del satellite San Marco 1, che ha reso il paese la terza nazione al mondo a raggiungere lo sp
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