Dallo scoppio del Covid in avanti, i mercati finanziari sono stati attraversati in sei anni da una sequenza di shock che, fino a poco tempo fa, avrebbe avuto effetti ben più dirompenti. Alla pandemia globale ha fatto seguito nel 2022 una guerra nel cuore dell’Europa, il ritorno prepotente dell’inflazione, il più rapido ciclo di rialzi dei tassi della storia recente, tensioni geopolitiche e commerciali, con la guerra dei dazi consumatasi in questo 2025. A fare da contrappeso l’irruzione dell’intelligenza artificiale come nuovo motore della crescita e che a sua volta inizia ad essere additato come potenziale shock futuro negativo se gli investimenti monstre dei giganti tech non saranno premiati da un reale ritorno nei prossimi anni. In questi anni, contro ogni pronostico, l’architettura dei mercati ha dimostrato una capacità di assorbimento sorprendente, trasformando spesso anche le cattive notizie in carburante per i listini. Oppure anche quando i contraccolpi inizialmente si facevano sentire sulle Borse, l’assorbimento e la risalita sono stati decisamente più repentini rispetto al passato.
Paradossi
Più il mondo è diventato instabile, più i mercati hanno imparato a convivere con l’instabilità. Ma non siamo davanti a euforia irrazionale o miopia degli investitori. A essere cambiata è la struttura stessa del sistema. Le banche centrali hanno consolidato il loro ruolo di “assicurazione implicita”. Allo stesso tempo, la politica fiscale si sta evolvendo in una sorta di leva permanente, archiviando l’austerità del decennio post-crisi finanziaria del 2008.
A diventare quasi una prassi è la tendenza dei mercati a una lettura in positivo di tutto o quasi: notizie buone in quanto buone e quelle negative legate all’economia lette con tagli dei tassi da parte delle banche centrali. Una sorta di consapevolezza che in caso di difficoltà i banchieri centrali interverranno a suon di liquidità. Il Covid, in particolare, ha scoperchiato la fragilità del sistema globale delle catene del valore, efficienti ma molto vulnerabili, mentre la guerra Ucraina ha fatto esplodere il mercato dell’energia proprio quando le banche centrali cercavano di rientrare nella normalità dopo la risposta iper-accomodante alla crisi finanziaria del 2008. «Siamo a una ansa della storia e anche gli investitori sono alle prese con uno scenario che cambia, un cambiamento radicale con cicli del mercato più stretti e nuovi equilibri tutt’altro che comprensibili – spiega a Moneta Carlo Benetti, market specialist di GAM – e il vero incubatore di questo nuovo scenario sta nella crisi del 2008, il sistema è crashato con il debito che ha messo sul lastrico soprattutto le famiglie americane, 3 milioni di mutui non saldati nel solo 2009, un vero spartiacque».
Durante il Covid si sono inoltre prodotti disavanzi fiscali enormi e rimasti alti nonostante ad oggi le maggiori economie, in particolare gli Stati Uniti, stiano attraversando un periodo di buona crescita. E nessuno sembra avere la volontà politica di ridurli, fatta eccezione dell’Italia che di fronte a in un ambiente esterno che si comportava sempre peggio – con Parigi e Berlino che sono divenute vistosamente meno virtuose a livello di conti pubblici – ha portato avanti politiche di rigore che hanno riportato gli asset tricolori nel radar dei grandi investitori, con i Btp a primeggiare quest’anno come performance in Europa così come Piazza Affari che nell’arco di tre anni ha raddoppiato il proprio valore.
Nodi al pettine
La ricetta che stanno portando avanti dagli Stati Uniti a trazione Trump è far crescere insieme Pil e inflazione rosicchiando anno dopo anno il debito che avanza. Ma oltreoceano il galoppare dei prezzi nel settore dei servizi continua ad aumentare molto e i cittadini mal digeriscono l’inflazione; in aggiunta, la parte lunga della curva obbligazionaria può diventare un problema a meno che la Fed decida di intervenire stile Giappone per controllare la curva. «Già lo scorso anno Stephen Miran, il consigliere economico più ascoltato da Trump, aveva messo nero su bianco che bisognava stare attenti sui bond, con la volontà di farli comprare a coreani, giapponesi ed europei mettendoli nel calderone delle trattative sui dazi», asserisce Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partners Sgr. Incidenti di percorso in situazioni di questo tipo non possono escludersi e Kevin Hassett, uno dei principali candidati per diventare il prossimo presidente della Fed, ha fatto capire che anche se il suo orientamento è super-espansivo alla fine Jerome Powell non sbaglia a non avere un programma a lungo termine sulla traiettoria dei tassi. Parole che sono «una vistosa marcia indietro che fa capire come anche il prossimo nuovo corso della Fed non avrà uno spartito già scritto e probabilmente farà un po’ meno di quello che ci si attende oppure ci sarà situazione esposta a dei rischi», indica Fugnoli che non manca di sottolineare come il combinato disposto di utili in crescita nella tecnologia e multipli sempre più elevati ha portato a valutazioni monstre con la capitalizzazione di Wall Street pari a 2,5 volte il Pil che «dà l’idea del livello di tolleranza dei mercati rispetto al passato».
Eccessi
Se da un lato le banche centrali continuano ad essere le protagoniste, ci troviamo davanti all’avanzamento prodigioso nella frontiera della conoscenza, questo però comporta anche che sull’intelligenza artificiale si aprono i rischi di due tipi di concentrazioni: la prima delle performance in una manciata di titoli, le cosiddette Magnifiche Sette, l’altra nelle famiglie con una esposizione record al mercato azionario. Un’eventuale storno avrebbe impatti sull’economia con un boomerang sulla ricchezza e quindi mettendo al tappeto i consumi. Benetti di GAM ritiene poco costruttivo spremersi adesso le meningi sul rischio bolla: «Se ne può parlare quando esplode e non va dimenticato che nella storia sono state molto poche le bolle spettacolari e devastanti. Certamente le valutazioni attuali sono tirate, ma quello che è essenziale è non innamorarsi dei temi andando a investire troppo su settori promettenti. E’ una fase matura del ciclo, l’IA non è certo un fenomeno passeggero, resterà, per intercettare quali società vinceranno meglio affidarsi a gestori specialisti». «Potremmo assistere a momenti di consolidamento e non necessariamente lo scoppio di una bolla – concorda Fugnoli – con lo sgonfiamento dell’entusiasmo sul tech che può essere bilanciato da rigonfiamento del resto». Senza dimenticare che il ribilanciamento non sarebbe immediati in quanto negli indici le Big Tech oggi pesano come macigni e quindi un loro dietrofront peserà non poco anche se il resto si rigonfia.
Tra le preoccupazioni che si stanno facendo largo spicca in particolare quella riguardante la crescita marcata del debito delle aziende tech in un contesto di un aumento esponenziale delle esigenze di investimenti in data center IA e infrastrutture correlate, che potrebbe portare a un aumento della leva finanziaria e, di conseguenza, a un peggioramento della qualità del credito. Questo slancio si riflette anche nel volume record di emissioni da parte delle aziende tecnologiche Usa sul mercato europeo, pari a 25 miliardi di euro nel 2025. «L’investimento nell’infrastruttura dati dell’IA probabilmente porterà a un deterioramento delle metriche di credito delle aziende tecnologiche, influenzando negativamente le performance del settore nel medio termine», è l’opinione di Stefan Kolek, credit strategist di UniCredit.
Tra i rischi per il nuovo anno c’è anche l’asticella delle aspettative sempre più in alto, soprattutto nei settori di tecnologia e difesa. «Quando il mercato si abitua alle buone notizie, smette di premiarle e inizia a reagire negativamente a qualsiasi elemento che non sia perfetto. Ossia per un ulteriore rialzo è necessario un elemento aggiuntivo, non la semplice conferma delle attese», asserisce Ruben Dalfovo, investment strategist di BG Saxo.
© Riproduzione riservata