L’aspettativa (o la speranza) di una pace in Ucraina cresce di pari passo con l’avvicinarsi delle elezioni statunitensi di mid term, in programma nell’autunno 2026. I candidati di entrambi gli schieramenti, ma in particolare i repubblicani, hanno in effetti tutto l’interesse a intestarsi l’eventuale raggiungimento della pace. Se si tratta di un’ipotesi concreta e fondata lo si potrà verificare al momento dei risultati della tornata elettorale. Manca ancora un anno a questa scadenza ma c’è già chi scommette sull’esito che, qualunque esso sia, sarà capace di cambiare i possibili scenari.
La pace, insomma, potrebbe far crescere il consenso – in questo momento tendenzialmente in calo – a favore del presidente in carica Donald Trump. Con ricadute positive immediate anche per l’economia europea. Uno dei primi effetti sarebbe infatti il calo del prezzo delle materie prime, ma soprattutto la ripresa degli acquisti di gas russo a prezzi inferiori rispetto a quelli attuali. A beneficiarne sarebbe prima di tutto la Germania, ma di conseguenza anche l’Italia, il cui comparto industriale è strettamente legato a quello tedesco, avrebbe i suoi vantaggi.
Se in questo momento una simile ipotesi può apparire da un lato ancora lontana, dall’altro cresce sempre di più il numero di chi ipotizza l’arrivo di una svolta prima del previsto. Magari addirittura all’inizio del 2026. Se così fosse, ne trarrebbero beneficio innanzi tutto i mercati azionari europei, compreso quello italiano, spinto anche, secondo gli analisti di Intesa Sanpaolo, dalla crescita degli utili delle società quotate a Piazza Affari, prevista in media dagli stessi analisti nella misura del 13%.
Un vero e proprio cambio di direzione se si pensa che soltanto pochi mesi fa, in luglio, si ipotizzava per il prossimo semestre un calo del 3%. La banca d’affari americana Goldman Sachs ha addirittura creato un indice, battezzato Ukraine Ceasefire, che ha come base le 50 società europee ritenute più sensibili, in positivo, alle immediate conseguenze della fine della guerra. Fra queste, accanto a colossi come ArcelorMittal, Siemens, Volvo e Heineken, nelle prime 15 per capitalizzazione ci sono tre italiane: Unicredit, Prysmian e Buzzi Unicem.
Nel caso di Unicredit, unica azienda creditizia presente nel paniere, a pesare favorevolmente è la collocazione internazionale della banca, con la sua presenza su tutti i territori interessati, mentre negli altri due le aspettative sono legate interamente alla prospettiva della ricostruzione post-bellica dell’Ucraina, che vale secondo le prime stime oltre 500 miliardi di euro spalmati nell’arco dei prossimi dieci anni, con largo impiego dei cavi prodotti dalla società italiana e soprattutto del cemento, di cui è leader di mercato proprio Buzzi.
Unicredit
L’istituto di credito milanese, tra i primi gruppi bancari europei, lo scorso ottobre ha confermato le stime finanziarie per l’intero 2025, oltre a deliberare un acconto sul dividendo 2026 (relativo all’esercizio 2025). Nel terzo trimestre il risultato netto di gestione della banca guidata da Andrea Orcel è aumentato a 3,76 miliardi di euro, rispetto ai 3,69 miliardi del terzo trimestre del 2024, tenuto conto di rettifiche sui crediti per complessivi 113 milioni. L’utile netto è salito a 2,6 miliardi contro i 2,5 miliardi del terzo trimestre 2024. In Borsa il titolo Unicredit ha toccato un picco pluriennale a 68,06 euro il 12 novembre, per poi ritracciare fino a quota 61,44 euro il 24 novembre, per poi riprendere lentamente a salire in area 65, quasi il 75% sopra i livelli di un anno fa. Diverse e variegate le più recenti valutazioni degli analisti. Morgan Stanley ha giudizio «equalweight», fissando un target price di 76 euro. Citigroup dice invece «buy» con un obiettivo di prezzo di 72 euro.
Prysmian
La società è uno dei leader mondiali nella produzione di cavi per applicazioni nel settore dell’energia e delle telecomunicazioni e in quello delle fibre ottiche. E quindi in entrambi i casi è potenzialmente interessata alla futura ricostruzione dell’Ucraina. Dal punto di vista del controllo, la società, che ha circa 34 mila dipendenti, è un’autentica public company. Il primo azionista è il fondo americano Blackrock con il 5,8% del capitale. Seguono nell’ordine altri investitori istituzionali, come Fmr Llc (5,1%), Vanguard Group (3,6%), T.Rowe Price Group (2,7%) e Alliance Bernstein (2,5%). I dipendenti e il management detengono a loro volta una quota pari a circa il 3% delle azioni.
Il titolo, quotato a Piazza Affari dal maggio 2007, veniva scambiato a metà settimana a poco meno di 85 euro per azione, con una plusvalenza di circa il 34% rispetto a un anno fa. Contrastanti i giudizi degli analisti. Lo scorso 10 novembre Morgan Stanley ha confermato la raccomandazione «equalweight», con un target price di 75 euro, in calo rispetto alla precedente valutazione di 78 euro risalente esattamente a un mese prima. Ben più elevata, invece, la stima di Intesa Sanpaolo del 5 novembre, che oltre alla raccomandazione «buy» (comprare) con 99,5 euro come obiettivo di prezzo. Gli analisti di JP Morgan, Hsbc e Mediobanca, hanno rispettivamente con i giudizi di overweight, buy e outperform (farà meglio del mercato) e prezzi obiettivo rispettivamente di 95, 105 e 96 euro.
Buzzi Unicem
Con sede a Casale Monferrato, la società produce cemento, calcestruzzo e aggregati naturali. Opera in 13 paesi e impiega circa 10 mila dipendenti, di cui 1.400 nei 10 stabilimenti ubicati in Italia. Quotata in Piazza Affari dal 1999, a metà settimana valeva poco più di 51 euro per azione, con una plusvalenza del 30% circa rispetto a un anno fa.
La più recente valutazione sul titolo è quella di Morgan Stanley, pubblicata mercoledì 3 dicembre: giudizio «neutral» e target price di 58 euro. La stessa valutazione ribadita in precedenza (18 novembre) da Citigroup, che aveva però fissato il prezzo obiettivo a 55 euro, mentre il 17 novembre Barclays aveva tagliato il poprio giudizio a equalweight (pesare correttamente in portafoglio) dal precedente overweight (sovrappesare), aumentando però a 55 euro il target price. Pochi giorni prima, il 12 novembre, si era espressa Mediobanca, che aveva confermato l’indicazione «neutral» e ritoccato al rialzo il prezzo obiettivo, portandolo a 51,6 euro. E’ del 6 novembre, infine, il report di Equita Sim, nel quale veniva ribadita la raccomandazione «buy» con un target price di 58 euro, in rialzo rispetto ai precedenti 55 euro del 14 ottobre.
L’analisi tecnica di Teleborsa, riferita alla chiusura di martedì 2 dicembre, prevede un primo supporto di 51,1 euro e un secondo di 50,45 euro, mentre sul fronte rialzista la prima resistenza è fissata a 53,05 euro e la seconda a 55 euro.
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