Donald Trump ha trasformato i dazi in una vera e propria macchina da soldi per le casse federali. Nei primi mesi del 2025, secondo il New York Times, le entrate tariffarie hanno raggiunto i 152 miliardi di dollari, quasi il doppio rispetto ai 78 miliardi dello stesso periodo dell’anno fiscale precedente. E il meglio — o il peggio, a seconda dei punti di vista — deve ancora venire: dal 7 agosto entreranno in vigore nuovi dazi, alcuni ai livelli più alti registrati dal 1930.
Solo nel mese di luglio, Washington ha incassato quasi 30 miliardi. A questo ritmo, dicono diversi centri di ricerca, le tariffe potrebbero portare oltre 2.000 miliardi di dollari nelle casse pubbliche nel prossimo decennio.
Una cifra impressionante, che l’amministrazione Trump rivendica apertamente come un successo strategico. «Abbiamo fatto in modo che l’Europa accetti i nostri termini, e ora applichiamo un dazio del 15% che ci garantisce 100 miliardi l’anno», ha dichiarato Kevin Hassett, direttore del Consiglio economico nazionale, a Fox News Sunday.
L’Europa guarda con cautela
Anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha riconosciuto la portata della manovra americana, parlando di una mossa «che ha massimizzato gli interessi dell’economia statunitense». Ma ha anche espresso preoccupazione per gli effetti sull’Italia: «Non è banale se alcuni prodotti agricoli saranno ricompresi o come verrà trattata la farmaceutica, uno dei settori a maggior sviluppo nel nostro Paese». Un bilancio, ha aggiunto, sarà possibile solo alla fine del processo negoziale.
Il rappresentante commerciale Usa, Jamieson Greer, difende però senza tentennamenti la linea dura: «Trump sta facendo esattamente ciò per cui è stato eletto: difendere l’economia americana».
Famiglie più povere, inflazione più alta
Ma dietro il boom di entrate pubbliche si nascondono effetti collaterali pesanti per l’economia reale. Secondo uno studio del Budget Lab della Yale University, i nuovi dazi si tradurranno in un’imposta media del 18,3% sui beni importati, il livello più alto dal 1934.
L’effetto sull’inflazione interna è stimato all’1,8%, con una perdita di potere d’acquisto di circa 2.400 dollari annui per famiglia. Tariffe che, pur essendo ufficialmente rivolte all’esterno, si comportano sempre più come una tassa occulta per i consumatori americani.
Gli analisti avvertono che la combinazione tra dazi, inflazione e incertezza globale potrebbe spingere gli investitori verso strategie più difensive, penalizzando la crescita. «Si torna alla diversificazione, ai settori value come industria e finanza. Il decennio dei tassi a zero è finito», osserva Sebastien Mallet di T. Rowe Price.
Mercati in allerta, Borse in tensione
La riapertura delle Borse dopo i forti cali di venerdì scorso si preannuncia tesa. Le politiche tariffarie Usa non colpiscono solo i mercati interni, ma stanno riplasmando l’economia globale. Raphael Thuin di Tikehau Capital sottolinea come «i dazi stiano diventando una componente strutturale delle dinamiche economiche», obbligando le imprese a ripensare supply chain, strategie di prezzo e produzione.
Anche dalla finanza italiana arriva un monito. «Non possiamo permetterci un quadro normativo rigido che freni gli investimenti nei settori chiave come energia, AI e tecnologia», afferma Moreno Zani, presidente di Tendercapital. «L’Europa deve tornare a competere ad armi pari».
La Fed sotto pressione
Il fronte interno americano resta delicato. Hans-Jörg Naumer di Allianz GI avverte che, se da un lato i nuovi accordi rafforzano il consenso politico, dall’altro l’inflazione in crescita e la frenata dell’economia creano un mix pericoloso. «La Federal Reserve sarà costretta a muoversi con cautela — osserva — ma l’indipendenza della banca centrale appare sempre più sotto pressione. E questo potrebbe minare la fiducia degli investitori».
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Segnali d’allarme ce ne sono già: dollaro debole, rendimenti obbligazionari in rialzo, mercati nervosi. E la strategia dei dazi — pur redditizia nell’immediato — potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. «Se la Fed perde credibilità — conclude Naumer — il danno sarà difficile da contenere».
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