L’enorme e rapidissima crescita dei modelli di intelligenza artificiale ha alla sua origine lo sfruttamento di migliaia di lavoratori nel Sudest asiatico.
Stipati in capannoni e internet cafè, forniscono fiumi di informazioni, commenti e reazioni ai chat bot, rendendo possibili i costanti progressi dell’IA, la cui capacità di risposta è ormai sempre più indistinguibile da quella umana. Sono i nuovi schiavi dell’era delle macchine parlanti: insegnano all’algoritmo a distinguere il vero dal falso, a riconoscere il gatto nero in una foto, a scrivere frasi grammaticalmente corrette.
L’IA infatti non impara da sola, servono miliardi di interazioni fra uomini e macchine affinchè strumenti come Chat Gpt diano risposte sempre più accurate e complete. Un’immagine inquietante, emersa grazie a un’inchiesta del Washington Post secondo la quale più di 2 milioni di persone nelle Filippine svolgono questo tipo di lavoro in condizioni lavorative miserevoli.
Tra le piattaforme che maggiormente si sono servite dello sfruttamento dei lavoratori troviamo Remotasks, una delle due controllate – insieme a Outlier – di Scale AI. Si tratta di una start up californiana attualmente valutata la bellezza di 29 miliardi di dollari, dopo che Meta nel giugno scorso ha acquisito una quota del 49% investendo 14,3 miliardi di dollari.
Fondata nel 2016, Scale AI collabora con i giganti dell’IA, tra cui Microsoft e OpenAI. Il ceo, Alexandr Wang, ventinovenne nato negli Stati Uniti da genitori di origine asiatica, è uno dei miliardari più giovani al mondo
L’enorme ricchezza di Scale AI – secondo quanto riportato dal quotidiano statunitense – sarebbe stata accumulata sulle spalle di un esercito di lavoratori freelance nelle Filippine, cosa che avrebbe permesso al colosso di aggirare normative locali, ridurre i salari, azzerare straordinari e tutele legali. Parliamo di compensi trattenuti, molto al di sotto del salario minimo, pagamenti in ritardo e salari mai recuperati, persi definitivamente dopo la disattivazione dell’account di chi provava a reclamarli.
I lavoratori di Scale AI sono diffusi in tutto il mondo, anche in Italia. Nei portali di ricerca lavoro come Linkedin, si trovano annunci sotto il nome di Outlier, l’altra controllata della società di Wang. In Italia – dalle interviste condotte da Moneta – sono tutti freelance e la paga risulta partire da minimo di 20 dollari per le prestazioni più semplici a un massimo di 50 per le attività più specializzate.
Il 6 dicembre scorso, lo studio legale statunitense Clarkson ha intentato un’azione collettiva contro Scale AI presso la Corte Superiore della California, denunciando la classificazione errata dei lavoratori come autonomi, il mancato pagamento di straordinari e la pressione a effettuare ore non retribuite. Secondo la denuncia, Scale AI mantiene un controllo rigido sui lavoratori, imponendo compiti aggiuntivi per acquisire maggiore familiarità con i progetti a cui prenderanno parte.
«Scale AI ha costruito la sua attività su un modello di sfruttamento, facendo affidamento su migliaia di lavoratori provenienti da tutto il mondo pagati meno di un salario di sussistenza per addestrare le applicazioni di intelligenza artificiale per ore e ore», spiega Ryan Clarkson, managing partner di Clarkson Law Firm. «Questi lavoratori operano sotto stretto controllo aziendale e vengono derubati delle protezioni del codice del lavoro. È illegale e inaccettabile».
L’etichettatura dei dati è un anello cruciale della filiera dell’intelligenza artificiale: il passaggio che consente di trasformare informazioni grezze in materiali adatti alla costruzione di un modello. La domanda crescente di enormi quantità di interazioni umane – necessaria per l’addestramento supervisionato -ha spinto questa catena globale a estendersi in Paesi come Kenya, India, Filippine e Venezuela, dove il costo del lavoro è sensibilmente più basso. I grandi colossi del tech come Meta, Microsoft, Alphabet e OpenAi dipendono da questo tipo di società specializzate per migliorare la qualità dei dati, in modo da ottenere sistemi più performanti. Intanto grazie a queste nuove aziende appaltatrici, si fa strada un nuovo tipo schiavitù digitale.
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