Dopo anni di torpore, i fondi europei che investono fuori dai listini stanno dando segnali di risveglio. Una nuova normativa, l’attuale contesto di mercato e la sete di rendimento sono i fattori a favore degli Eltif. Una parola tecnica, finora citata sottovoce, ma che potrebbe entrare sempre più spesso nel vocabolario degli investitori. Anche quelli individuali.
Cosa sono gli Eltif
Eltif è un acronimo che sta per European Long-Term Investment Fund, cioè fondo di investimento europeo a lungo termine. Si tratta di strumenti creati dall’Unione europea per convogliare capitali verso l’economia reale, finanziando infrastrutture, pmi, immobili e progetti innovativi. A differenza dei fondi tradizionali, possono investire in misura significativa in attività non quotate, aprendo così ai risparmiatori la porta dei mercati privati, storicamente riservati agli investitori professionali, in maniera più trasparente e regolamentata. Per molto tempo, però, questa opportunità è rimasta teorica. Gli Eltif erano (e in parte lo sono ancora) poco diffusi e difficili da sottoscrivere, penalizzati da soglie minime elevate, strutture complesse e scarsa liquidità.
L’impatto della svolta normativa
Una prima svolta è arrivata con la revisione normativa, il cosiddetto “Eltif 2.0”, entrato in vigore l’anno scorso, che tra le novità ha eliminato il minimo d’ingresso di 10.000 euro per gli investitori individuali e introdotto una maggiore flessibilità di ingresso e uscita. Il risultato è stato immediato: nel solo 2024 sono nati più Eltif che nei tre anni precedenti messi insieme e le masse in gestione sono salite a 20 miliardi di euro, rispetto ai 13 miliardi dell’anno precedente. Una diffusione che potrebbe essere solo all’inizio. Secondo Scope Explorer, il mercato europeo potrebbe addirittura triplicare entro il 2027.

A caccia di rendimento
A spingere il fenomeno contribuisce anche il contesto attuale. In un mondo finanziario in cui il 90% degli investitori indica il rendimento come fattore principale delle proprie scelte, gli asset privati tornano a esercitare un forte richiamo. Negli ultimi vent’anni il private equity (cioè le azioni di società non quotate in Borsa) ha generato un ritorno medio del 14,9% annuo, mentre oggi le valutazioni azionarie elevate, la concentrazione degli indici e un numero crescente di aziende che scelgono di non quotarsi – negli Stati Uniti l’88% delle società con ricavi superiori ai 100 milioni non è in Borsa – favoriscono la crescita dei mercati privati. La loro correlazione storica con i mercati pubblici, intorno al 50-60%, li rende inoltre uno strumento utile per diversificare i portafogli. Secondo Deloitte, l’esposizione retail globale ai mercati privati potrebbe raggiungere i 3,3 trilioni di euro entro il 2030, crescendo del 24% l’anno.

Le piattaforme digitali si aprono agli Eltif
La tecnologia sta rendendo tutto questo ancora più accessibile. Piattaforme digitali hanno iniziato a offrire ai risparmiatori modalità di sottoscrizione più immediate. Tra queste Fundstore, il marketplace di fondi del gruppo bancario Ifigest, che ha lanciato la prima piattaforma italiana dedicata agli Eltif. L’iniziativa permette di investire in quattro diversi prodotti gestiti da operatori internazionali (Amundi, Apollo, BlackRock e JP Morgan Asset Management), con soglie che partono da 1.000 euro e non superano i 10.000 euro. L’investitore può scegliere fra diverse strategie, differenziate per orizzonte temporale e caratteristiche, attraverso una piattaforma con zero costi aggiuntivi di intermediazione. I fondi sono strutturati in modalità “evergreen”, cioè con finestre periodiche di acquisto e possibilità di richiedere il riscatto durante la vita del prodotto, pur nel rispetto di alcune restrizioni legate alla liquidità disponibile presso la società di gestione. «Gli Eltif rappresentano sia una fonte di diversificazione per il portafoglio, sia uno strumento perfetto per pianificare investimenti a lungo termine, come quelli per il futuro pensionistico», commenta Gianni Bizzarri, presidente di Banca Ifigest.
A cosa fare attenzione
Resta però fondamentale riconoscerne i rischi. Gli Eltif prevedono infatti periodi di detenzione pluriennali, che rendono il capitale non immediatamente liquidabile. L’esposizione ad asset non quotati comporta inoltre una maggiore incertezza nella valutazione. Anche i costi meritano attenzione: oltre alle commissioni di gestione, molti prodotti prevedono una performance fee applicata in caso di superamento di determinati obiettivi di rendimento.
Non esiste ancora uno storico solido delle performance, perché gran parte dei fondi è ancora nella fase iniziale del ciclo di investimento; solo tra qualche anno si potrà fare un bilancio completo, ma dall’analisi dei mercati privati a cui fanno riferimento si parla di un extra rendimento che oscilla tra il 3,5 e il 6% all’anno rispetto all’indice azionario Msci World.
Insomma, gli Eltif possono essere una soluzione adatta a chi ha un orizzonte temporale adeguato e una reale capacità di sopportare periodi prolungati di immobilizzo del capitale, a chi cerca una nuova dimensione di diversificazione e vuole avvicinarsi ai mercati privati in modo regolamentato. Ma non è una scelta da compiere con leggerezza.
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