Se si escludono i mercati monetari, oltreoceano un terzo degli investimenti in fondi a lungo termine è fatto attraverso Etf. All‘avanzata dei cloni, con afflussi netti per oltre 2.000 miliardi di dollari negli ultimi due anni, fa da contraltare una graduale fuga dai fondi d’investimento tradizionali, che oltreoceano segnano deflussi per 1.200 miliardi in due anni, a conferma che gli Etf stano erodendo ampie quote di mercato ai fondi comuni classici.
L’avanzata dei cloni sta trovando ulteriore linfa anche dall’emergere degli Etf attivi, un ibrido tra i fondi quotati passivi e i fondi attivi classici, che oltreoceano pesano già per circa un terzo sui nuovi flussi, con le maggiori case d’affari – da Morgan Stanley a JP Morgan – che stanno spingendo sull’acceleratore anche attraverso la conversione di loro fondi attivi in replicanti a gestione attiva. Le nuove proposte sia in America che in Europa vedono questa tipologia di strumenti in primissima linea. Secondo la società di ricerca Trackinsight, lo scorso anno gli emittenti hanno lanciato oltre 500 Etf attivi, che rappresentano il 70% del totale dei nuovi lanci e il 25% dei flussi. Molti dei nuovi prodotti prevedono però strategie di nicchia, come gli Etf buffer, che utilizzano opzioni per offrire agli investitori un’esposizione al mercato azionario, limitando sia guadagni e perdite. Oltreoceano la prima metà dell’anno ha visto circa un terzo dei flussi totali sugli Etf concentrati su quelli gestiti attivamente, nonostante rappresentino meno del 10% degli asset complessivi del settore. Questo dato testimonia un ritorno d’interesse per la gestione professionale, in contrasto con un decennio di predominanza dei prodotti passivi.
Anche in Europa sta prendendo piede una sempre maggiore apertura verso questa nuova tipologia di strumenti con flussi netti di oltre 20 miliardi di dollari lo scorso anno e il numero di prodotti attivi è aumentato in modo significativo, passando da 103 a 178. Il 96% fund selector del Vecchio continente prevede di aumentare l’uso di Etf attivi nei prossimi 12 mesi, con un ulteriore 32% che prevede un aumento significativo per accedere a gestori patrimoniali istituzionali o strategie e per la loro maggiore trasparenza.
Nello specifico gli Etf attivi non si limitano a replicare passivamente un determinato indice, ma prevedono la presenza di un gestore o team di gestione che investe su un portafoglio di titoli seguendo un criterio di selezione indicato nel prospetto informativo. «Pur rappresentando ancora una quota ridotta (6,5%) degli asset totali degli Etf, rappresentano un’opzione vantaggiosa per gli investitori, con commissioni medie dello 0,64% rispetto all’1,08% dei fondi comuni», sottolinea Graziano Pace, principal di Boston Consulting Group.
Non mancano le incognite. Gli Etf attivi avranno davanti ostacoli simili a quelli che riscontrano i classici prodotti a gestione attiva. Anche se con costi più competitivi, la sfida è sempre quella delle performance di lungo periodo e il rischio è che alla fine si renderà sempre più esplicito il confronto con gli Etf passivi a basso costo. Emblematico l’esempio dell’Etf Ark Innovation di Cathie Wood – fortemente concentrato su titoli tecnologici – e che protagonista di un exploit di oltre il 150% nel 2020, arrivando a detenere asset per 28 miliardi. In seguito, tra il 2021 e il 2022, il fondo ha perso il 75 percento del suo valore sottoperformando il Nasdaq Composite di oltre 100 punti percentuali negli ultimi cinque anni.
In aggiunta, i gestori attivi andranno incontro ad una forte concorrenza a livello di idee innovative relativamente ai prodotti da proporre e distinguersi come Etf potrebbe diventare sempre più difficile.
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