Se la ricetta per preparare un buon piatto di carbonara è semplice e immutabile, quella per un portafoglio diversificato al punto giusto va ricalibrata sulla base dei nuovi ingredienti presenti sui mercati. Dal private equity al luccicante oro, passando anche per i bitcoin, la gamma di asset class e prodotti finanziari disponibili per i singoli investitori si è decisamente ampliata negli ultimi anni andando a ridefinire il concetto di diversificazione del rischio al di là delle tradizionali allocazioni azionarie e obbligazionarie.
La strategia 60/40 – ossia la suddivisione 60% in azioni e il restante 40 in bond – per decenni ha funzionato in termini di protezione alla luce della decorrelazione delle due maggiori classi d’investimento. Quando le azioni sottoperformavano, le obbligazioni agivano da cuscinetto, e viceversa. Ultimamente questa decorrelazione ha mostrato qualche inceppo, con il nefasto 2022 caratterizzato dal crollo a doppia cifra di entrambe le asset class. La situazione si è riproposta quest’anno per un breve frangente, ad aprile, a causa dei dazi trumpiani. Crepe all’infallibilità del modello 60/40 hanno contribuito a intensificare il fuggi-fuggi dai fondi bilanciati, incentrati proprio sul connubio tra le due asset class regine. In Italia la crisi dei prodotti bilanciati si protrae da tempo e gli ultimi riscontri Assogestioni sono inequivocabili: nel solo secondo trimestre 2025 i deflussi da questa categoria di fondi sono stati superiori a 6 miliardi di euro, che si sommano ai 2,8 miliardi di rosso dei primi tre mesi dell’anno, segnalandosi come i peggiori davanti ai flessibili (rosso per 2 miliardi), anch’essi in parte afflitti dalla stessa sindrome di disaffezione verso l’inclusione di azionario e reddito fisso in un unico prodotto. A metà anno il peso dei fondi bilanciati in tutto l’universo del patrimonio gestito dell’industria dei fondi è scivolato al 9,4% rispetto al 9,9% del trimestre precedente. Sole tre anni fa i bilanciati si ritagliavano una fetta di un terzo più ampia, ossia il 13,5 per cento. I fondi flessibili, che lasciano al gestore la massima libertà nel determinare l’asset allocation tra azioni e bond, sono scesi a loro volta dal 19% di tre anni fa al 13,9% attuale.
I perché di una progressiva disaffezione
Nonostante poggino su principi cardine quali diversificazione e bilanciamento tra investimenti a rischio e investimenti chiamati a proteggere il patrimonio, le gestioni bilanciate/flessibili si trovano a fare i conti con una disaffezione che nasce sovente dalla mancata corrispondenza tra attese e riscontri concreti. «Molto spesso i prodotti bilanciati finiscono per deludere le aspettative dei risparmiatori, con risultati tutt’altro che soddisfacenti – spiega a Moneta Jacopo Ceccatelli, responsabile della clientela istituzionale presso Finint Private Banking – . Certo non si deve generalizzare, ci sono infatti sul mercato strumenti bilanciati con ottimi risultati, ma le motivazioni di rendimenti al di sotto delle aspettative sono in molti casi da ricondurre ai costi e commissioni che gravano su questi prodotti. Una circostanza questa che, invero, è abbastanza trasversale». In aggiunta, la libertà che ha il gestore nel puntare maggiormente su investimenti più rischiosi o viceversa, può essere un’arma a doppio taglio. «Questa scelta di asset allocation rappresenta spesso la singola decisione più rilevate per conseguire risultati brillanti, ma se la si sbaglia l’effetto finale può essere molto negativo», ammonisce Ceccatelli.
Strategie per tutte le stagioni
Come detto, si fa largo la ricerca di una reale diversificazione che abbracci anche altre asset class quali oro, commodity in generale, oppure mercati privati; su questi ultimi Larry Fink, ceo di BlackRock, il più grande gestore di fondi al mondo, ha indicato che il superamento del portafoglio 60/40 passa verso l’inserimento in futuro di una quota fino al 20% di prodotti finanziari basati su titoli non quotati, arrivando quindi a un nuovo schema 50/30/20. Le possibili ulteriori combinazioni non mancano, a partire dalla celebre strategia All Weather (ossia buona “per tutte le stagioni”) ideata da Ray Dalio e che prevede un profilo di rischio medio con un’esposizione del 55% sul reddito fisso, 30% azionario e 15% materie prime (di cui la metà in oro) attraverso l’utilizzo di 5 soli Etf, adatta per chi non intende stare dietro alle bizze dei mercati finanziari. Questi portafogli “pigri”, essendo animati da Etf, hanno il pregio di presentare costi contenuti. Alla prova dei numeri, secondo Morningstar Direct, rendimenti annualizzati degli ultimi 25 anni della strategia All Weather sono del 6,49%. Ritorni leggermente più contenuti (4,4% annualizzato) invece per il portafoglio permanente 25/25/25/25, con ripartizione uguale tra azioni, bond, materie prime e liquidità, che a detta di Michael Hartnett, chief investment strategist di BofA Global Research, rappresenta una diversificazione di lungo termine ben bilanciata. I modelli a cui affidarsi non mancano, tenendo sempre presente che non esiste una soluzione universale e l’allocazione deve in primo luogo riflettere gli obiettivi finanziari personali a lungo termine.
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