Qualsiasi direzione provi a prendere, Andrea Orcel rischia di trovarsi costretto in una morsa dalla quale è difficile sfuggire. Nell’ambito del braccio di ferro con il governo sulle prescrizioni Golden Power per la scalata a Banco Bpm, una delle questioni di più difficile soluzione è l’addio di Unicredit alla Russia entro il 18 gennaio 2026 (con la sola eccezione dei pagamenti transfrontalieri per salvare l’attività delle 270 imprese italiane clienti). Da un lato, ci sono il governo e il ministero dell’Economia con la prescrizione di abbandonare un Paese sotto sanzioni internazionali, peraltro noto per i cyberattacchi, che intendono tutelare dati e risparmi italiani in una logica comprensibile. Tra le righe del Dpcm ai sensi del Golden Power, infatti, Palazzo Chigi argomenta la sua decisione spiegando che «dall’inizio del conflitto non è concesso alla dirigenza di Unicredit visitare i locali della Ao Unicredit Bank e incontrarvi i dirigenti e il personale» mentre gli «organi diretti a garantire la conformità del gruppo non possono effettuare ispezioni». Si fa inoltre riferimento alla decisione della Banca centrale europea che ha imposto «restrizioni su depositi, impieghi, collocamento fondi e pagamenti da/verso la Russia». Dall’altra, l’istituto di Piazza Gae Aulenti dice di essere intenzionato a uscire dalla Russia, ma di non poterlo fare entro la scadenza prevista a meno di non sostenere costi altissimi e implicazioni anche legali. Va detto che la banca si muove entro paletti molto stretti e, di recente, ha dichiarato di voler azzerare l’attività retail entro metà 2026 e di ridurre i prestiti sotto al miliardo e i depositi locali sotto i 2 miliardi entro quest’anno. Deve confrontarsi con una politica del Cremlino che, dopo la guerra in Ucraina, per tamponare l’emorragia di aziende estere ha applicato una legge severa e per nulla trasparente. Infatti, se un’azienda volesse vendere i propri asset e uscire dal mercato russo, prima di tutto deve trovare un acquirente gradito al presidente Putin e mettere in conto di cedere le attività a metà del loro valore di mercato, oltre a pagare una tassa di uscita fino al 35% sul valore della transazione. Facendo una stima su queste basi, tenendo conto che Unicredit alla fine del 2024 deteneva 5,6 miliardi di attivi in Russia, Orcel dovrebbe dire addio a 2,8 miliardi di valore (appunto, il 50%) e aggiungere poi una exit tax di almeno 1 miliardo. Un conto che peraltro potrebbe essere per difetto, dal momento che una trattativa con un qualsiasi compratore non si svolgerebbe su basi paritetiche e quindi il prezzo di vendita potrebbe essere anche inferiore al 50% del valore dell’asset. Non è poi da sottovalutare che, sempre nel 2024, la filiale russa garantiva all’istituto ricavi per quasi 1,3 miliardi (e 577 milioni di utile netto) e nel primo trimestre 2025 un fatturato in crescita a 366 milioni. Ma assumendo anche che Orcel decida di sostenere quest’onere, gravando il suo bilancio con questo ventaglio di malus, la faccenda certo non si concluderebbe qui perché l’istituto italiano dovrebbe misurarsi con le forche caudine delle normative della Banca centrale europea. Quest’ultima, infatti, sebbene abbia invitato a più riprese Unicredit a lasciare la Russia comprimendo depositi, impieghi, collocamento fondi e pagamenti da e verso Mosca, dall’altra applica vincoli così stringenti da rendere quasi impraticabile una dismissione in tempi brevi.
Il potenziale acquirente deve essere un soggetto non sottoposto a sanzioni e in linea con i requisiti di trasparenza richiesti dalla Bce a pena di finire sotto la lente dell’antiriciclaggio e della vigilanza bancaria. Operazione difficile, se il compratore deve essere al contempo gradito anche al Cremlino che certamente non darebbe il suo benestare a soggetti al di fuori delle sue grazie. Più l’attività è importante, e quella di Unicredit la è con circa 3mila dipendenti e attività corporate e retail, più la dismissione è complessa.
La stessa Intesa Sanpaolo, che a differenza di Unicredit ha sostanzialmente azzerato la sua attività e ottenuto l’ok di Putin alla cessione delle attività accettando di sostenere tutti i costi, non è ancora riuscita a finalizzare la cessione dei suoi asset a causa di rallentamenti burocratici russi. Per queste e altre ragioni, quindi, la via di Orcel verso Banco Bpm assomiglia a un labirinto dove la via di uscita, se c’è, è molto difficile da trovare in tempi certi.
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