Non solo strade, reti ferroviarie e ponti, ma anche data center, fibra ottica e impianti energetici. Il settore delle infrastrutture, spina dorsale di una economia, sta per conoscere la sua più grande stagione di crescita. Molti analisti la definiscono una tendenza secolare pronta a entrare in una nuova era. Secondo McKinsey, infatti, colmare il fabbisogno infrastrutturale mondiale richiederà oltre 106 trilioni di dollari (mila miliardi) di investimenti entro il 2040, pari al 3,5% del Pil globale ogni anno. Una valanga di risorse che riguarderà non solo nuovi progetti nei Paesi emergenti, ma anche un’imponente opera di modernizzazione nei mercati maturi. Italia compresa.
Oltre al potenziale di crescita strutturale, il contesto attuale appare particolarmente favorevole per le infrastrutture. Con l’inflazione in rientro e le Banche centrali – soprattutto la Fed – pronte a mantenere una politica accomodante, gli analisti prevedono una forte rivalutazione del settore, che oggi mostra quotazioni ancora basse.
C’è poi da dire che le infrastrutture sono considerate dagli analisti un asset resiliente e dal potenziale di ritorno facilmente prevedibile, grazie a una certa stabilità dei flussi di cassa e visibilità pluriennale sugli utili. Spesso sono indicizzate all’inflazione, offrendo quindi anche una copertura naturale contro l’andamento dei prezzi. E in effetti, gli investitori istituzionali vi investono da decenni.
Dove guardare
Tra i Paesi più coinvolti in questa nuova ondata di investimenti, l’Italia emerge come uno dei mercati più promettenti. Complici i megatrend della digitalizzazione e della sicurezza energetica, con progetti strategici in settori chiave come la fibra ottica e le energie rinnovabili. Secondo Swiss Life Am, gli investimenti infrastrutturali nel nostro Paese sfioreranno i 50 miliardi di euro nel 2025, con un tasso di crescita annuo composto del 5,7% fino al 2033. «L’Italia è un mercato che in passato è stato trascurato dai grandi player infrastrutturali», spiega Antonio Iaquinta, head of sales per il Sud Europa dell’asset manager svizzero, « Tuttavia ora vediamo grandi e importanti fondi dall’estero che si stanno muovendo sull’Italia. La visione penalizzante del Paese che c’era in passato ora è cambiata».
Guardando tra le tendenze interne, «il ciclo di investimento più visibile oggi riguarda le reti elettriche – osserva Luca Moro, chief investment officer fondi aperti di Fiee Sgr – che devono essere potenziate e digitalizzate». L’Agenzia Internazionale dell’Energia stima che serviranno oltre 600 miliardi di dollari l’anno per mantenerle stabili e adeguate alla crescente domanda legata a elettrificazione e intelligenza artificiale. Negli Stati Uniti, utility come NextEra Energy e Duke Energy hanno già aumentato del 30-40% i piani di spesa al 2030; in Europa, player come Terna, National Grid, E.On, Scottish and Southern Energy e Red Eléctrica beneficiano di programmi pubblici record per la resilienza delle reti e l’integrazione delle rinnovabili. Accanto a queste infrastrutture «tradizionali» stanno emergendo nuove infrastrutture ibride: data center alimentati da energia pulita, sistemi di accumulo e reti intelligenti.
Dal punto di vista delle valutazioni, molte società – da Rwe ed Erg in Europa a Aes Corporation e NextEra Energy in Nord America – scambiano ancora con sconti del 20-25% rispetto ai livelli pre 2022, pur mostrando fondamentali in miglioramento e guidance di crescita utili tra il 6 e il 10% annuo. In altre parole, le quotazioni dei titoli rispetto ai livelli storici e alle prospettive sono vantaggiose. E per gli investitori, questo si traduce in un punto d’ingresso interessante. Ma non solo grandi nomi. Anzi, secondo alcuni analisti, le maggiori opportunità di generare valore nel lungo termine potrebbero trovarsi nelle aziende di piccola o media taglia.
Pro e contro da valutare
Gli esperti sono concordi nel ritenere che inserire il settore delle infrastrutture in un portafoglio diversificato aiuti ad aumentare il rendimento e al tempo stesso ridurre la volatilità. Secondo un’analisi di Swiss Life Am, aggiungere un 10% di infrastrutture a un portafoglio multi-asset consente di incrementare i rendimenti dal 6,5% al 6,9% e ridurre la volatilità dal 10,3% al 9,2% (sull’orizzonte temporale giugno 2008/settembre 2024). «Storicamente le infrastrutture quotate hanno generato ritorni medi del 7-10% annuo, con una volatilità inferiore alla media dell’azionario globale e una bassa correlazione con i principali indici», precisa Moro. Certo, non mancano i rischi: burocrazia, incertezza regolatoria, tempi autorizzativi lunghi e volatilità delle politiche industriali.
Tuttavia, le caratteristiche intrinseche e la prevista crescita strutturale nei prossimi anni potrebbero rendere oggi le infrastrutture un pilastro importante per i portafogli di lungo periodo.
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