Se gli investimenti aziendali per i nuovi progetti non riprendono, i Paesi “non saranno in grado di sostenere la crescita”. L’avvertimento arriva dall’Ocse, che ha acceso i riflettori sul rallentamento delle spese aziendali nelle principali economie avanzate.
Secondo i dati dell’organizzazione, gli investimenti netti nei Paesi Ocse sono scesi dal 2,5% del Pil prima della crisi del 2008 all’1,6% del Pil, con la pandemia che ha inferto un ulteriore colpo. In questo scenario, tuttavia, l’Italia sorprende in positivo e si distingue tra le economie avanzate per la sua capacità di resistere alla tendenza globale.
Oltre al nostro Paese, anche Canada e Australia hanno superato i livelli di investimento pre-Covid. Guardando ancora più indietro nel tempo, solo Israele e Portogallo sono riusciti nel 2024 a superare i trend di investimento netto che avevano preceduto la crisi del 2008.
Il merito italiano è stato quello di mantenere un ritmo di investimenti aziendali superiore rispetto alla media Ocse, che oggi risulta inferiore del 20% rispetto ai livelli che si sarebbero registrati se le tendenze pre-crisi fossero proseguite. Rispetto al periodo immediatamente precedente alla pandemia, la media degli investimenti resta inferiore del 6,7%.
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Álvaro Pereira, capo economista uscente dell’organizzazione con sede a Parigi e prossimo governatore della Banca del Portogallo, ha dichiarato al Financial Times che senza una ripresa della spesa aziendale nei progetti infrastrutturali e produttivi, “i Paesi non saranno in grado di sostenere la crescita”. Il calo degli investimenti, ha spigato l’economista, è alimentato da una “incertezza pervasiva” che affligge le imprese in tutto il mondo, frenando le decisioni strategiche di lungo periodo.
Un ruolo chiave lo ha avuto anche la politica economica degli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump. L’introduzione caotica dei dazi ha rappresentato infatti un ulteriore fattore di instabilità che ha spinto molte imprese a congelare investimenti rilevanti. L’Ocse sottolinea come questa incertezza abbia colpito trasversalmente tutti i principali settori, facendo crescere la riluttanza delle aziende a impegnarsi in progetti a lungo termine in un contesto in cui restano opache le prospettive sulla domanda globale, sulla regolamentazione e sul commercio internazionale.
Nonostante il Fondo Monetario Internazionale abbia rivisto al rialzo le sue previsioni di crescita globale, segnalando che la guerra commerciale americana farà meno danni del previsto, la stima per il 2025 si ferma al 3%, in calo rispetto al 3,3% del 2024 e ben al di sotto della media del 3,7% registrata prima della pandemia.
I dati Ocse evidenziano che un aumento anche minimo dell’incertezza politica può avere effetti significativi: una sola deviazione standard nella percezione di instabilità riduce la crescita degli investimenti aziendali dell’1% nel giro di un anno. E secondo le previsioni contenute nello stesso studio, se i livelli attuali di incertezza dovessero perdurare, gli investimenti reali rischierebbero di subire un ulteriore calo dell’1,4% entro la fine del prossimo anno.
Altro elemento paradossale segnalato dall’organizzazione riguarda il costo del capitale: nonostante sia calato sensibilmente dopo la crisi finanziaria del 2008, molte imprese non stanno sfruttando questa condizione favorevole per effettuare gli investimenti marginali redditizi che ci si aspetterebbe. Al contrario, molte di esse hanno preferito aumentare i dividendi distribuiti agli azionisti rispetto ai livelli pre-crisi, a scapito della spesa produttiva.
Infine, sebbene si registri una vivace crescita degli investimenti in ambito digitale e nelle tecnologie basate sulla conoscenza, questi non sono stati sufficienti a compensare il calo degli investimenti in beni materiali e l’effetto del deprezzamento accelerato delle strutture esistenti.
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