Un mix agrodolce di incertezza e potenzialità. Così appare il Giappone a chi lo guarda come terra di investimento. La sua economia ha aperto l’anno con il piede sbagliato, segnando nel primo trimestre la prima contrazione da 12 mesi, appesantita dai timori per i dazi statunitensi. Anche il Nikkei, l’indice della Borsa di Tokyo, ha rallentato il passo, dopo aver chiuso il suo miglior anno dal 1989, riportando da gennaio una performance peggiore rispetto all’indice americano S&P500 o al nostro Ftse Mib.
Eppure, qualcosa si muove. Anzi, fermenta. Questa primavera gli investitori internazionali hanno riscoperto l’appetito per il Sol Levante: secondo il ministero delle Finanze nipponico, ad aprile gli acquisti di azioni e bond da parte di stranieri hanno toccato il massimo storico da quando sono iniziate le rilevazioni nel 1996.
Anche se la corsa al mercato nipponico non continuerà con lo stesso ritmo, l’interesse rimane solido e gli esperti mantengono una visione positiva.
«Dopo due anni di performance notevoli, alcuni investitori si chiedono se l’occasione non sia ormai persa. – afferma Simon Morton-Grant, portfolio manager di Columbia Threadneedle Investments – A nostro avviso, le prospettive di lungo periodo per l’azionario nipponico restano positive e riteniamo di essere ancora all’inizio della tanto attesa trasformazione del Giappone». Se poi il guru degli investimenti, Warren Buffett, ha aumentato anche quest’anno le sue posizioni sul paese (arrivando alla soglia del 10% in Mitsubishi, Marubeni, Mitsui & Co., Itochu e Sumitomo), forse è il momento di guardare a Tokyo non solo come patria del sushi, ma anche come un’opportunità di investimento.
Riforme e utili societari
La convinzione sul Giappone è supportata da diversi elementi: la solidità degli utili societari e la loro politica di dividendi, i progressi nella governance aziendale e l’accelerazione delle attività di fusione e acquisizione, oltre che un’inflazione superiore al 2% dopo decenni di deflazione.
«Il Giappone si distingue tra i nostri mercati preferiti data la sua relativa stabilità macroeconomica e la sua sicurezza in un contesto di incertezza commerciale globale. – sostengono gli esperti di JP Morgan – Vediamo una serie di fattori ciclici e strutturali per i suoi mercati azionari». Tra questi, il ritorno dell’inflazione, spiegano, ha innescato un rialzo dei salari e, con esso, un aumento dei consumi in un circolo virtuoso che stimola la crescita economica.
Ma a convincere Buffett & Co sono soprattutto i fondamentali societari. Nonostante i guadagni registrati per due anni consecutivi, il rapporto prezzo/utili delle azioni giapponesi è inferiore alla media degli ultimi cinque anni. In altre parole, Tokyo offre qualità a prezzi accessibili. Non solo. «Ciò di cui si parla meno è che gli utili societari hanno eguagliato quelli degli Stati Uniti dal 2010, anche se il Pil giapponese è cresciuto solo modestamente. – sottolineano da JP Morgan – In altre parole, le società quotate a Tokyo sono esposte alle opportunità di crescita globale, in grado quindi di aumentare gli utili a un ritmo impressionante, anche in un contesto di debolezza dell’economia interna».
Un altro ingrediente che rende più gustoso il “bento box” finanziario del Giappone è la riforma della governance: introdotta nel 2023, ha già dato vita a un’impennata dei buyback, migliorando gli utili per azione e sostenendo le quotazioni. Gli osservatori si aspettano che il processo continui, accompagnato da un’ondata di fusioni e acquisizioni – nazionali e internazionali – che potrebbero ridisegnare il volto del corporate Japan.
Il tesoretto delle famiglie
C’è poi una risorsa ancora sottoutilizzata e che potrebbe fare da propulsore per l’azionario giapponese: l’enorme ricchezza privata che potrebbe riversarsi nei mercati per effetto delle agevolazioni fiscali varate dal governo. Storicamente, le famiglie nipponiche tendono a detenere molta liquidità (più del 50% del loro patrimonio contro il 12% negli Stati Uniti) per via del loro atteggiamento prudente e del prolungato contesto deflazionistico. Tuttavia, in un momento storico in cui l’inflazione erode il valore reale dei risparmi, è emersa la tendenza a spostare queste risorse su prodotti d’investimento. Complice, anche l’intervento del governo, con il lancio nel 2024 del nuovo Nippon Individual Savings Account (Nisa), un conto d’investimento a fiscalità agevolata. Secondo JP Morgan, questo cambiamento è già in atto e potrebbe rappresentare un tema strutturale interessante per il Giappone nel medio-lungo termine.
Dazi e diplomazia
Rimane, certo, il nodo della geopolitica. Il rischio di nuovi dazi Usa è ancora sul tavolo, congelato fino al 9 luglio. Le trattative tra Tokyo e Washington proseguono e un faccia a faccia tra i leader è atteso al vertice Nato del prossimo 24 giugno. Ma, almeno per ora, il Giappone sembra in una posizione di relativo vantaggio. A differenza di Cina e Messico, il suo surplus commerciale con gli Stati Uniti non è aumentato e Tokyo resta il primo investitore diretto estero Oltreoceano. Un dettaglio che – anche in piena Trumpeconomics – potrebbe aiutare il Sol Levante ad ammorbidire i toni.
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