Mentre le Borse corrono tra rally e nervosismi, puntare sulle azioni e sui titoli a grande capitalizzazione può sembrare l’unica strada. Ma c’è un universo parallelo, che potrebbe offrire rendimenti altrettanto interessanti, se non più interessanti, e meno dipendenti dal ciclo di mercato. È quello delle aziende non quotate, cioè che non si trovano né a Wall Street né a Piazza Affari, ma fuori dai listini. È l’universo dei cosiddetti mercati privati. E al suo interno, il venture capital, ovvero l’investimento in società non quotate ad alto potenziale di crescita (come le startup) si sta dimostrando una strategia per costruire valore nel lungo periodo, di fronte a valutazioni sempre più tirate.
L’indice Cambridge Associates Venture Capital, che misura i rendimenti annualizzati in tutto il mercato e li confronta con gli equivalenti del mercato pubblico, ha sovraperformato l’S&P 500, il principale indice della Borsa di New York, e il Russell 2000, che raccoglie le società americane più piccole, su orizzonti temporali di 10, 15 e 20 anni, registrando solo un leggero calo su un orizzonte di 25 anni che cattura i rendimenti durante il crollo delle dotcom. Rispetto all’Msci Europe, che traccia la performance delle azioni di società a grande e media capitalizzazione in 15 paesi europei sviluppati, ha sovraperformato su tutti gli orizzonti a lungo termine.
E i grandi investitori, a caccia di rendimento, hanno già intravisto il potenziale. Le case d’affari oggi allocano tra il 20% e il 25% del proprio private equity in questa asset class. Dal 2020 al 2024, il settore ha visto affluire oltre 1.200 miliardi di dollari a livello globale. Insomma, secondo gli esperti, per chi ha pazienza, cioè visione di lungo termine, e un’adeguata strategia di diversificazione, il venture capital può essere il pezzo mancante di un portafoglio orientato al futuro. Offrendo rendimenti potenziali elevati nel lungo termine, diversificazione con una componente decorrelata e accesso a possibili storie di successo di domani.
Dove guardare
Una volta sinonimo di Silicon Valley, oggi il venture capital ha confini molto più ampi sia a livello geografico che settoriale. Gli investimenti si estendono ora a decine di centri di innovazione in Nord America, Europa e Asia. Infatti, quasi la metà (il 45% per la precisione) di tutti gli unicorni – cioè di startup che hanno raggiunto una valutazione di oltre 1 miliardo di dollari – si trova ora al di fuori degli Stati Uniti. Sebbene la tecnologia rimanga l’area di maggiore interesse, si sta assistendo a una innovazione più diffusa che riduce il rischio di concentrazione: nel settore sanitario, nell’energia, nell’agricoltura e in altri campi.
Tra gli altri aspetti da valutare, anche le dimensioni. In un recente studio, Schroders Capital ha analizzato i risultati di oltre 2.000 fondi di private equity e venture capital tra il 2009 e il 2023, scoprendo che i fondi di venture capital nelle fasi iniziali (cioè quelli che investono in startup appena nate) hanno ottenuto risultati molto migliori rispetto ai fondi di buyout (che investono in aziende più mature). In particolare: quasi tre volte più spesso, i fondi di venture capital hanno triplicato il capitale investito rispetto ai fondi di buyout. E i migliori fondi di venture capital hanno raggiunto rendimenti massimi di 25,9 volte il capitale investito, contro un massimo di 9,5 volte per i fondi di buyout.
A cosa fare attenzione
È chiaro però che un maggior rendimento comporta anche un maggior rischio. Se da una parte investire fuori dai listini promette una fonte alternativa di rendimento, una maggiore decorrelazione dai mercati e una partecipazione diretta alla prossima ondata di innovazione globale, dall’altra comporta anche dei rischi. Insomma, il venture capital non è per tutti. «Si tratta di strumenti illiquidi – ricorda Gianluigi Serafini, partner di Grimaldi Alliance – quindi adatti solo a chi adotta un’ottica di medio-lungo termine e come parte contenuta del portafoglio». Inoltre, si tratta di asset meno regolamentati, con commissioni e soglie minime di investimento solitamente più elevate rispetto al mercato azionario.
Tuttavia, il momento sembra essere quello giusto. «I prossimi anni potrebbero essere molto positivi per il venture capital», affermano da Schroders Capital, rilevando che solo nella prima metà del 2025, i finanziamenti alle startup statunitensi hanno toccato quota 162,8 miliardi di dollari, in crescita del 75% rispetto all’anno precedente. Una dinamica che dovrebbe proseguire, stando anche a un recente sondaggio condotto da McKinsey: il 30% dei grandi investitori ha dichiarato di voler aumentare le proprie allocazioni nei mercati privati nei prossimi 12 mesi.
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