Più che di biglietto verde, di questi tempi si parla di biglietto al verde. Un indebolimento del dollaro del 10% rispetto all’euro in pochi mesi non passa inosservato. Anzi. Le ripercussioni sui portafogli degli italiani esposti alla valuta americana sono piuttosto evidenti, facendo tornare in primissimo piano il nodo della protezione del rischio cambio. «Abbiamo riscontrato una maggiore attenzione degli investitori italiani alla copertura valutaria», conferma Sara Amato, head of investment specialists Italia di Pictet Wealth Management. Le oscillazioni tra euro e dollaro hanno infatti inciso in modo significativo sulle performance, specie laddove non era prevista alcuna forma di copertura. I fondi e gli Etf con e senza protezione dal mini-dollaro mostrano differenze di rendimento anche a doppia cifra.
Ma la questione dell’hedging (ovvero la copertura) resta una strategia complessa e controversa tra gli investitori. Non esistono regole universali o formule standard: la scelta dipende da molteplici variabili, tra cui la fase di mercato, il differenziale dei tassi tra le valute, l’orizzonte temporale e – non da ultimo – le aspettative sull’andamento delle valute. E oggi il destino del dollaro non è così scontato, considerando la situazione attuale e le politiche statunitensi: «La situazione attuale, la preferenza per una valuta debole espressa dal presidente Donald Trump e le notizie sul deficit commerciale e fiscale in arrivo da Oltreoceano, rischiano di mantenere alta la pressione a sfavore del dollaro e un ulteriore indebolimento nei prossimi 12 mesi non è da escludere», avverte Gianni Piazzoli, chief investment officer di Vontobel Wealth Management Sim. Tuttavia, una Federal Reserve più restrittiva sul piano monetario potrebbe offrire un sostegno alla moneta americana. «Non sono tanto i dazi, di per sé, a indebolire la valuta statunitense, quanto la loro imprevedibilità, che rende le imprese restie a prendere decisioni d’investimento a lungo termine. – aggiunge Jens Søndergaard, analista valutario di Capital Group -. Alcuni segnali di rallentamento dello slancio di crescita degli Stati Uniti sono già visibili, sebbene i rischi di una recessione siano diminuiti dopo le negoziazioni con la Cina».
Nella scelta della protezione, poi, non aiutano alcune complessità tecniche. Un Etf quotato in euro non è automaticamente protetto dal rischio cambio. Ciò che conta è la valuta del sottostante. Se si investe in azioni statunitensi, ad esempio, l’esposizione al dollaro resta — a meno che il fondo o l’Etf non sia chiaramente etichettato come “hedged”. Gli strumenti contro il mini-dollaro includono derivati (forward, opzioni) e prodotti strutturati come fondi o Etf con copertura valutaria. Tuttavia, non sono a costo zero: la protezione riflette il differenziale dei tassi, e coprirsi sul dollaro è oggi piuttosto oneroso, data la forbice tra tassi Usa ed Eurozona. Un costo che, se protratto nel tempo, rischia di erodere i rendimenti.
L’eccezione dei certificati
Diverso il discorso per i certificati di investimento in euro che includono automaticamente (diluendo quindi i costi aggiuntivi nel costo della struttura opzionale) la copertura valutaria sul sottostante, se a capitale protetto o condizionatamente protetto. «Tutti i certificati di investimento con un’opzione accessoria coprono dal rischio cambio», spiega Pierpaolo Scandurra, amministratore delegato di Certificati e Derivati, escludendo quindi soltanto quelli a capitale non protetto (oltre che i certificati a leva). In questi casi, l’investitore beneficerà solo del rendimento del sottostante, senza essere influenzato dalle fluttuazioni del dollaro. «Un esempio sono gli Equity Protection sull’indice S&P500 – suggerisce Scandurra – che proteggono il capitale in caso di ribassi, ma permettono di partecipare linearmente alla crescita del mercato americano neutralizzando il rischio cambio, senza alcun onere aggiuntivo».
Quando conviene proteggersi
La copertura valutaria non è sempre conveniente e bisogna valutarla caso per caso. «Sui portafogli azionari a lungo termine, l’effetto del cambio tende a diluirsi grazie ai rendimenti superiori», osserva Amato. In generale, quindi, gli asset più volatili, come le azioni, si prestano meno all’hedging, a meno di non avere aspettative molto precise sull’andamento delle valute. Anche perché su una finestra temporale ampia, su più anni, l’aspetto principale diventa quello di contenere i costi.
Per l’obbligazionario, invece, la copertura diventa più importante visto che le oscillazioni del cambio possono azzerare rendimenti che sono già più contenuti rispetto a quelli dell’azionario. «In questo momento, ad esempio, per un investitore europeo il rendimento di un Bund decennale è più attraente del Treasury di pari scadenza coperto per il cambio», conclude Amato
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