Il mal di liquidità ha zavorrato quest’anno le mid e small cap italiane, rimaste indietro rispetto alle cugine di dimensioni più cospicue. Non è un fastidio passeggero, ma un qualcosa di cronico che spiega anche l’emorragia di società fuoriuscite negli ultimi anni da Piazza Affari tra delisting forzati e fusioni a basso valore aggiunto. L’Italia produttiva resta in gran parte tagliata fuori dai radar dei capitali istituzionali. Questo contesto che ha spinto il Tesoro a promuovere il Fondo Nazionale Strategico indiretto (Fnsi) chiamato a fungere da volano per canalizzare risorse pubbliche e private verso i fondi specializzati in Pmi quotate. Nel concreto il Fnsi, gestito da Cassa Depositi e Prestiti, non investirà direttamente nelle aziende, ma funzionerà come un fondo di fondi sottoscrivendo partecipazioni, fino al 49%, in fondi chiusi di nuova costituzione gestiti da Sgr private. Il potenziale di impiego di risorse pubbliche è stimato in almeno 350 milioni di euro con l’obiettivo di mobilitare 700 milioni tra pubblico e privato e arrivare nel tempo a più che raddoppiare tale cifra.
Attorno al progetto si è già formato un nucleo importante di gestori: da Algebris a Generali Asset Management, passando per Equita e Amundi – primo asset manager europeo – che hanno lanciato fondi chiusi dedicati al sostegno delle Pmi, con l’obiettivo di aumentare la massa critica, attrarre nuovi investitori e riattivare il mercato delle società di seconda e terza fascia presenti in Borsa. «I capitali dispiegati dai partecipanti al progetto possono innescare un circolo virtuoso, offrendo un’opportunità concreta per sostenere il tessuto imprenditoriale italiano», ha spiegato Davide Serra, fondatore e ceo di Algebris Investments. «Questo segmento presenta interessanti opportunità di investimento con solidi fondamentali il cui valore non sempre viene riflesso correttamente dall’andamento del prezzo dei titoli, offrendo ai gestori attivi la possibilità di cercare valore grazie allo stock picking», argomenta Cristina Matti, head of European Small Cap and Country Strategies di Amundi.
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Se il Fnsi riuscirà davvero a fare da vero e proprio catalizzatore l’impatto potrebbe essere significativo. «L’iniziativa arriva al momento giusto e rilanciare l’interesse sul segmento Mid & Small Cap di Borsa Italiana», sottolinea a Moneta Andrea Randone, head of Mid Small Cap Research di Intermonte che guardando al 2026 vede opportunità interessanti tra le Pmi nel settore tecnologico, che quest’anno ha registrato una performance debole «e che include aziende eccellenti come Reply, leader europeo nella trasformazione It, ma anche altri nomi importanti come Sesa, Wiit, Txt, Esprinet, Sys-dat, Dhh che, in parti diverse della catena del valore, sostengono la digitalizzazione del nostro Paese». Secondo l’esperto di Intermonte si possono trovare storie interessanti nei segmenti consumer e industriali (De’ Longhi, Intercos, Ovs, El.En., Luve, Pharmanutra), così come nel settore media, che tratta a multipli attraenti con Mfe al lavoro per integrare ProSieben, e Mondadori, leader nell’editoria.
Le potenziali ricadute del Fnsi non sono solo finanziarie. Una maggiore liquidità potrebbe ridurre la volatilità dei titoli minori, accrescere la trasparenza delle valutazioni e attirando in Borsa nuove matricole, oggi frenate da valutazioni penalizzanti e costi di listing eccessivi.
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