Battere il mercato è sempre più un’impresa da illusionisti. Dall’ultimo rapporto European Active/Passive Barometer di Morningstar emerge che solo il 16% dei fondi attivi specializzati su Piazza Affari riesce a far meglio dei loro omologhi a gestione passiva (Etf) sia su un arco di tre anni che su uno più ampio di cinque; la percentuale scende ancora (12%) sui 10 anni. Emerge inoltre chiaramente che per i fondi che si rifanno a mercati locali molto concentrati quali l’Italia e la Spagna – entrambi caratterizzati da un netto predominio del settore bancario – risulta ancora più difficile tenere il passo con il benchmark che in questi anni ha visto l’importante traino proprio delle banche.
La concorrenza dei «passivi», ossia gli Etf che si limitano a replicare l’andamento di un indice, è quindi sempre più spietata e si contano sulle dita di una mano i fondi sull’azionario Italia in grado di far meglio del mercato. Un discorso che vale anche guardando all’ultimo anno. Piazza Affari, fresca dell’approdo ai massimi dal lontano 2001, si sta ergendo come una delle migliori Borse a livello mondiale e solo una sparuta schiera di fondi riesce a far meglio del mercato; scrutando al loro interno non emerge un singolo ingrediente segreto con settori e titoli che li animano che denotano una composizione molto differente. Questi pochi super-gestori perseguono quindi ognuno ricette diverse per creare i presupposti di una sovraperformance durevole.
La ricerca dell’alpha non parte nemmeno quando l’investitore si accontenta di detenere un Etf che può solo ridare passivamente la performance di un indice. Per avere una marcia in più bisogna quindi «sporcarsi le mani» cercando valore non solo nelle blue chip milanesi che primeggiano in termini di capitalizzazione, ma setacciando anche tra i titoli di seconda fascia. Altro potenziale punto di forza è un adeguato bilanciamento tra la pazienza con cui il gestore deve portare avanti le proprie convinzioni d’investimento e una congrua movimentazione del portafoglio, ancora più importante davanti a scenari sempre più mutevoli come quelli a cui si è dovuto far fronte durante l’ultimo anno. «La generazione di alpha deriva sempre dalla selezione dei titoli, processo che parte dalla conoscenza approfondita delle società dove investiamo, con periodici incontri con il management, e che termina con considerazioni sulla valutazione anche relativa rispetto a panel di società quotate comparabili», rimarca Luigi Dompè, responsabile azionario Italia di Anima Sgr.
Primi della classe
La graduatoria a 12 mesi vede solo cinque fondi in grado di performare meglio degli Etf legati a doppio filo all’andamento dell’indice Ftse Mib. Il gradino più alto del podio, stando ai dati Morningstar aggiornati all’11 novembre, spetta al Lemanik High Growth con un ritorno complessivo di oltre il 51%, quasi doppiando il +26,5% della media della categoria Azionario Italia e facendo decisamente meglio anche rispetto al +32% circa garantito nello stesso arco di tempo dagli Etf sul Ftse Mib. Spulciando dentro il fondo si capisce subito che per primeggiare fa ampia incetta di titoli che stazionano al di fuori del Ftse Mib: realtà secondarie quali ad esempio Mfe e Danieli sono nelle prime posizioni del portafoglio attuale, mentre non figurano tra i 46 titoli detenuti dal fondo due pesi massimi quali Unicredit ed Enel e anche il peso di Intesa è limitato (circa il 4%). «Per generare alpha in un mercato come quello italiano, che è periferico in termini di dimensioni, è necessario adottare un profilo di gestione estremamente attivo», racconta a Moneta Andrea Scauri, gestore del fondo azionario Lemanik High Growth, «individuando in primis i settori più performanti con un approccio bottom-up basato sui fondamentali per poi selezionare i singoli titoli». «A livello concreto», dettaglia Scauri, «nel 2022 abbiamo anticipato la ripartenza delle banche in scia all’avvicinarsi di una stagione di tassi alti, passando da un’esposizione bassa a una molto alta. Mentre adesso sulle banche siamo più selettivi con focus su realtà quali Mps e Bper nelle quali vediamo ancora molto valore. Idem su Azimut che viaggia a multipli a sconto rispetto a competitor e può portare a un re-rating e sul settore automotive vittima di un eccesso di negatività». Nel corso del tempo si denota quindi una spiccata rotazione del portafoglio che nel corso dell’anno ha visto Tim spuntare in cima alle preferenze, scelta premiante in quanto la Tlc guidata da Pietro Labriola è arrivata a raddoppiare il proprio valore. Aspetto non secondario è che in qualità di fondo Pir compliant chi lo detiene almeno 5 anni beneficia di un importante sgravio fiscale sui rendimenti (esenzione dall’imposta sui redditi e dall’imposta di successione). Lo stesso vale per il fondo che occupa il fondo Schroder Isf Italian Equity che occupa il secondo gradino del podio con un rotondo +40%. In questo caso, stando ai dati aggiornati alla fine del terzo trimestre, la fiducia è invece riposta in buona parte sui grandi nomi: Intesa Sanpaolo e Unicredit figurano ai primi due posti rispecchiando abbastanza fedelmente il Ftse Mib, anche se con pesi inferiori; anche a livello settoriale l’impronta è a forte trazione titoli finanziari (47,5%). Tim Pedroni, portfolio manager di Schroder Isf Italian Equity, rimarca come il fondo miri a sovraperformare il benchmark sovrappesando i titoli di maggiore qualità e con una crescita strutturale e «ciò viene ottenuto attraverso un’analisi bottom-up e il processo si concentra su società sottovalutate o su storie strategiche e finanziarie poco apprezzate». «La diversificazione», precisa Pedroni, «viene generalmente perseguita attraverso l’esposizione alle società di medie e piccole dimensioni all’interno di ciascun settore».
Giusto mix
Portafoglio decisamente meno orientato alle big quello del fondo Anima Iniziativa Italia F, che vede a oggi un sostanziale bilanciamento tra titoli del Ftse Mib (48%) e non (45%). «L’investimento in small/mid cap rappresenta un’attività quasi sartoriale all’interno del team di gestione», argomenta Luigi Dompè che gestisce il fondo in questione, «visto che le singole storie aziendali, la capacità manageriale, l’affidabilità dell’imprenditore, la valutazione del progetto industriale sono aspetti che spesso prevalgono rispetto a una semplice analisi dei numeri».
L’analisi a cinque anni vede primeggiare sempre il Lemanik High Growth con un +26,5% di rendimento medio annuo rispetto al +17% annuo della Categoria Azionario Italia e del +21,7% medio dell’Etf Ftse Mib iShares, primo rappresentante dei passivi, che però hanno dalla loro delle commissioni più stringate (0,33% l’Etf rispetto al 2% circa medio della categoria Fondi attivi Italia) che soprattutto nel lungo periodo vanno a incidere non poco sul ritorno netto dell’investimento. Se il Lemanik High Growth ha come tallone d’Achille proprio i costi (spese correnti del 2,63%), non mancano gli attivi con costi più contenuti, con l’Anima Iniziativa Italia F che si ferma allo 0,99%
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