A muoversi per ultima è stata la Federal Reserve, la banca centrale americana, che la scorsa settimana ha deciso di tagliare il tasso d’interesse dello 0,25%, portando il range di riferimento al 4-4,25 per cento. Si tratta della prima sforbiciata dal dicembre 2024, che interrompe un ciclo di stabilità del costo del denaro durato quasi dieci mesi. Anche se il taglio è per ora minimo (il presidente Usa Donald Trump aveva chiesto scelte più coraggiose), sarà quasi certamente seguito da altri interventi nei prossimi mesi. Anzi, ci sarebbero già due scadenze possibili, che la stessa Fed ha ipotizzato, con l’obiettivo di arrivare a una riduzione dello 0,5% entro fine anno.
Quanto all’Europa, la Bce aveva già ritoccato i tassi di un quarto di punto nel giugno scorso. Il rallentamento dell’inflazione e la necessità di valutare l’impatto dei dazi sull’import-export hanno poi indotto alla cautela i vertici dell’istituto, che hanno preferito per il momento la scelta del non intervento. Ma il mercato guarda già alle prossime mosse, previste per fine anno o al massimo l’inizio del 2026, quando con ogni probabilità la strategia della Banca centrale con sede a Francoforte potrebbe cambiare.
I tassi in calo favoriscono certamente l’economia in generale, perché permettono alle imprese di effettuare i nuovi investimenti a costi inferiori, ma nel contempo si aprono nuove prospettive anche per i risparmiatori. Per esempio, perdono appeal le obbligazioni, i cui rendimenti si adeguano immediatamente sia nel caso delle nuove emissioni, sia per quanto riguarda i titoli già in circolazione. Le azioni in genere risultano invece premiate, anche grazie all’aumento della domanda di chi abbandona il reddito fisso per il listino azionario. Non tutte, però. Le azioni delle banche e delle società che basano i loro profitti sull’intermediazione finanziaria certamente ne risentono negativamente, perché in questo caso i loro ricavi si riducono. Anche se la gran parte degli istituti cerca di recuperare il mancato guadagno aumentando le commissioni e gli altri costi operativi a carico dei clienti.
Secondo una ricerca di Ubs, storicamente i tagli della Fed hanno sempre favorito anche i titoli del comparto finanziario quotati a Piazza Affari, che in qualche caso hanno raggiunto rivalutazioni consistenti nei dodici mesi successivi alla decisione. È necessario rilevare tuttavia che nel caso delle banche di casa nostra a sostenere i titoli del comparto è stato soprattutto il cosiddetto risiko, vale a dire il processo di consolidamento del sistema tramite fusioni e acquisizioni, nato dalla necessità delle banche di diventare più grandi e competitive per affrontare sfide come la digitalizzazione, il quadro regolamentare divenuto sempre più stringente e le esigenze dei clienti, in un contesto di crescente concorrenza.
Banche a parte, sono molte le società quotate – e non soltanto quelle indebitate – che possono trarre beneficio dal calo del costo del denaro.
Negli Usa, per esempio, i titoli dell’intelligenza artificiale, con Meta e Amazon in primo luogo, hanno già messo a segno performance consistenti. In Europa e in Italia i comparti che gli analisti vedono come favoriti, oltre a quello tecnologico (StMicroelectronics si è già rivalutata di oltre l’11% negli ultimi sei mesi) sono anche il farmaceutico e soprattutto il lusso. Ecco, di seguito, una panoramica dei titoli di questi comparti.
Diasorin
Multinazionale italiana di biotecnologie, è guidata da Carlo Rosa, che è anche uno dei principali azionisti della società. Quotata a Piazza Affari dal 2007, fa parte del paniere del Ftse Mib. Presente in oltre 100 paesi nel mondo, produce i propri test, utilizzati nell’immunodiagnostica e nella diagnostica molecolare, in dieci siti produttivi e nove centri di ricerca dislocati in Europa e Usa.
Il titolo viene scambiato attualmente intorno ai 78 euro per azione, in calo del 24% circa rispetto a un anno fa e del 18% nell’ultimo semestre. La maggioranza degli analisti stima però che la sua quotazione sia attualmente sottovalutata. Ubs recentemente ha emesso sul titolo la raccomandazione “buy” (comprare), indicando un target price di 98 euro, mentre il mese scorso JP Morgan, Morgan Stanley e Rbc Capital avevano rilasciato giudizi altrettanto positivi, con prezzi obiettivo pari rispettivamente a 74,5 euro, 101 euro e 105 euro.
Secondo l’analisi tecnica di Teleborsa, caratterizzata da una sostanziale stabilità del trend, evidenziata dal basso livello di volatilità giornaliera, il primo supporto è indicato a 77,48 euro e il secondo a 77,1 euro, mentre sul fronte rialzista la prima resistenza è fissata a 78,62 euro e la seconda a 79,76 euro.
Brunello Cucinelli
La casa di moda, fondata dall’omonimo imprenditore, è specializzata nella produzione di maglieria pregiata in cachemire e ha sede a Solomeo, in Umbria. Il titolo, quotato alla Borsa di Milano dal 2012, vale circa 87 euro, dopo il tonfo dei giorni scorsi di oltre il 15% su accuse di comportamenti scorretti nelle attività in Russia, avanzate dagli analisti di Morpheus Research. Accuse respinte e smentite dalla società. Il 14 febbraio di quest’anno il titolo aveva toccato il suo massimo annuale (che è anche massimo storico) di 133,4 euro.
Generalmente positivi i giudizi degli analisti. L’ultimo report, emesso da JP Morgan, è dello scorso 15 settembre, che proprio in quella data ha iniziato la copertura sul titolo, con la valutazione “overweight” (sovrappesare in portafoglio) e un target price di 125 euro. In precedenza, Berenberg aveva confermato la raccomandazione “buy” (comprare) indicando l’identico obiettivo di prezzo.
Ferrari
Collocata da alcuni fra i titoli automobilistici, in realtà la società di Maranello è più correttamente considerata appartenente al comparto del lusso.
Il titolo scambia in area 414 euro, più o meno sui livelli di un anno fa, mentre registra una performance positiva del 2,6% nell’ultimo semestre e del 2,5% nell’ultimo mese. Positive, anche se con qualche cautela, le valutazioni degli analisti. A settembre Bank of America ha confermato il “buy” ma ha ritoccato al ribasso (a 496 euro) il target price, mentre Berenberg e Mediobanca avevano migliorato sia il giudizio (rispettivamente a “buy” e a “outperform”), sia l’obiettivo di prezzo (496 e 484 euro).
Moncler
Società di origine francese, è diventata italiana dopo che è stata acquistata da Remo Ruffini, che l’ha quotata a Piazza Affari. Il titolo vale attualmente 51,7 euro, il 7,7% in più rispetto a un anno fa ma in calo del 14,5% nel confronto con sei mesi fa.
Il 23 settembre scorso Equita Sim ha confermato la raccomandazione “buy” ma ha tagliato il prezzo obiettivo a 60 euro. Più o meno in linea le valutazioni di Citigroup e Barclays (rispettivamente “buy” ed “equalweight”, ma con target price di 58,6 e 55 euro).
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