gli occhi degli investitori meno attenti il panorama globale si suddivide tra mercati sviluppati e quelli emergenti, null’altro. Dagli anni Novanta invece è stato coniata dall’International Finance Corporation la categoria dei “mercati di frontiera“, ossia il sottoinsieme di economie emergenti che si stanno aprendo agli investitori stranieri ma che mostravano una liquidità inferiore, una capitalizzazione di mercato inferiore e livelli più elevati di rischio e volatilità. Si tratta di economie spesso associate a rischi elevati, sfide strutturali e fallimenti sistemici, tutti elementi che contribuiscono a rende gli investitori riluttanti a inserirli in portafoglio. Ma queste realtà minori hanno dalla loro un forte potenziale di crescita e a una classe di consumatori emergente che può dare luogo, soprattutto in ottica di lungo periodo, a rendimenti aggiuntivi. Dal rapporto Global Economic Prospects 2025 della Banca Mondiale emerge come i paesi più poveri del mondo siano rimasti indietro negli ultimi 15 anni. I redditi sono aumentati a malapena, con una crescita annua pro capite in media inferiore allo 0,1%.
Gli esempi virtuosi non mancano. Negli ultimi 15 anni i maggiori index provider hanno spostato dai mercati di frontiera a quelli emergenti diversi paesi: Qatar e Emirati Arabi Uniti (2014), così come Arabia Saudita (2018), Kuwait (2020) e in ultimo l’Islanda (2023). Il cambio di casacca non manca di avere effetti dirompenti in quanto fondi comuni e gli Etf che replicano passivamente indici quali l’MSCI Emerging Markets sono obbligati ad acquistare azioni del paese promosso per allineare la composizione del loro portafoglio al nuovo indice; si ha subito un aumento della liquidità del mercato locale e la maggiore domanda fa salire i prezzi delle azioni del paese promosso, portando sovente a rally significativi prima e dopo l’effettiva data di inclusione nell’indice. Anzi, già prima della promozione spesso i mercati iniziano a prezzare la possibile novità sulla base dei fondamentali di una cerca economia che possono far intuire un passaggio da frontiera a emergente. La promozione di per sé non è garanzia di rally. L’esperienza di Islanda, Arabia Saudita, Kuwait e Qatar, che hanno ottenuto suggerisce che l’andamento dei prezzi dopo l’annuncio sia stato variegato: l’Arabia Saudita ha sovraperformato, mentre Qatar e Islanda sono rimasti indietro.
In generale, l’indice MSCI Frontier Markets, animato da 28 mercati di frontiera, diversi dei quali rappresentano paesi non certo anonimi quali Argentina, Egitto, Marocco, Bulgaria, Serbia e Pakistan; quest’anno l’indice segna un rally del 38%, andando a sovraperformare rispetto ai mercati globali sviluppati (+18% l’Msci World), anche se così non è stato negli scorsi anni con +10% e +12% rispettivamente nel 2023 e 2024, distanti circa 10 punti percentuali dall’indice dei mercati sviluppati.
Il Vietnam sale di livello
Qualche settimana fa l’index provider Ftse Russell ha annunciato l’upgrade del Vietnam a mercato emergente secondario a partire dal settembre del prossimo anno. Il passaggio a mercato emergente a detta della Banca Mondiale porterà afflussi a breve termine di circa 5 miliardi di dollari prima e dopo l’aggiornamento da parte di investitori sia passivi che attivi. A lungo termine, gli afflussi di investimenti potrebbero salire fino a 25 miliardi di dollari entro il 2030, a condizione che il Vietnam mantenga un forte slancio delle riforme e la stabilità macroeconomica.
Il Vietnam, infatti, arriva da un decennio di forte progresso e si è affermato come una delle realtà più dinamiche del Sud-Est asiatico, grazie a una crescita sostenuta dal manifatturiero, dagli investimenti esteri e da una forza lavoro giovane e competitiva. Il Pil vietnamita è cresciuto in media del 6-7% annuo, con una rapida industrializzazione favorita dal decoupling tra Cina e Occidente: ossia molte multinazionali hanno spostato la produzione in Vietnam per diversificare le catene di fornitura.«L’inclusione nel FTSE EM potrebbe innescare centinaia di milioni di dollari in flussi di ETF passivi e alcuni miliardi di dollari in afflussi attivi, una cifra trasformativa per un mercato che attualmente ha circa 30-40 miliardi di dollari di proprietà straniera totale», spiega Tung Dang, economista di Dragon Capital.
Il Vietnam, che ad oggi è di gran lunga il rappresentante numero uno dell’indice FTSE Frontier con una quota del 32%, era nella lista di osservazione di FTSE dal 2018, con una riclassificazione prevista per fasi. Attualmente, il paese asiatico «Anche con un peso notevolmente ridotto – stimato tra lo 0,3% e lo 0,5% – nell’indice FTSE Emerging, l’upgrade sarebbe positivo poiché consentirebbe al Vietnam di accedere a un bacino di capitali molto più ampio, dato che l’indice Emerging ha una capitalizzazione complessiva di 9,4 trilioni di dollari USA ed è sessanta volte più grande», rimarca Jen-Ai Chua, Equity research analyst Asia di Julius Baer. Gli investitori intanto guardano avanti e per il Vietnam si punta all’upgrade entro il 2030 anche da parte di MSCI, che è l’index provider maggiormente seguito dai grandi investitori.
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