meno di ribaltoni improvvisi da qui a fine anno, l’asset a brillare di più in questo 2025 è stato l’oro. Il metallo giallo vince per distacco dall’alto del +60% messo a segno con massimi storici aggiornati ben 50 volte grazie a una combinazione di maggiore incertezza geopolitica ed economica, accompagnate dalla forte svalutazione del dollaro e al calo dei rendimenti dei Treasury, due elementi storicamente positivi per le quotazioni dell’oro che, essendo quotato in dollari, diventa più accessibile agli acquirenti esteri in caso di svalutazione della moneta di riferimento. In fila per fare incetta di lingotti spiccano le banche centrali di Cina e degli altri maggiori paesi emergenti che stanno riempiendo i loro forzieri rastrellando circa il 27% della produzione annuale delle miniere. Una tendenza che appare destinata a confermarsi nei prossimi anni. «Sia gli investitori che le banche centrali stanno aumentando le loro allocazioni in oro, cercando diversificazione e stabilità», rimarca il World Gold Council che nell’Outlook per il 2026 indica tre possibili scenari per il lingotto: se la crescita economica rallentasse e i tassi d’interesse scendessero ulteriormente, l’oro potrebbe registrare guadagni, seppur moderati; nel caso invece di una crisi più severa segnata da rischi globali crescenti, l’oro potrebbe avere una performance forte; al contrario, se le politiche messe in atto da Trump si dimostrassero positive per la crescita economica e si riducesse il rischio geopolitico, portando a tassi più alti e a un dollaro più forte, spingendo così l’oro verso il basso.
Il contesto geopolitico rimane un fattore chiave. «Il congelamento delle riserve russe nel 2022 ha contribuito a catalizzare l’accumulo di oro come riserva di valore politicamente neutrale. Questa tendenza, insieme alle persistenti tensioni commerciali e all’aumento del debito sovrano, suggerisce un sostegno strutturale alla domanda di oro», rimarca Marc Seidner di Pimco, che indica un potenziale aumento del prezzo superiore al 10% nel corso del prossimo anno. Tra i rischi da non sottovalutare c’è quello di una caduta dei mercati . L’oro, così come gli altri classici beni rifugio, è come un’assicurazione, ma bisogna essere consci che non protegge da tutto. Un recente studio dimostra che negli ultimi quarant’anni ogni caduta rilevante dell’S&P 500 (superiore al 2,5% in un giorno) ha prodotto reazioni differenti dei prezzi dell’oro a seconda delle cause del crollo. L’oro è un rifugio forte quando i mercati vanno al tappeto per ragioni macroeconomiche (inflazione in rialzo, Pil deludente, etc), mentre quando i mercati scendono per altre ragioni (shock degli utili, incertezza politica), l’oro talvolta non offre alcuna protezione. «Bisogna comprare oro sapendo perché lo si sta comprando – asserisce Alessandro Greppi, head of Unit Linked & Pension Funds per Zurich Investments Life – se si pensa che nei prossimi mesi vedremo un rallentamento economico significativo, allora l’oro ha un ruolo. Se invece si ritiene che il mercato scenderà per ragioni legate a valutazioni eccessive o utili aziendali in calo, l’oro potrebbe non essere un grande alleato». Anche Peter Kinsella, head of investment services UK di Union Bancaire Privée, rimarca come in caso di caduta delle Borse il movimento del metallo giallo potrebbe essere analogo in virtù di ragionamenti di finanza comportamentale, con gli investitori che vanno a «vendere attività performanti per finanziare le margin call sulle azioni, come successo nel 2008 e nel 2020».
Reduce da un anno sulle montagne russe è invece il Bitcoin, più volte indicato come oro digitale ma tornato a inciampare in quello che è il suo tallone d’Achille, ossia le ondate ripetute di volatilità; in poche settimane tra ottobre e novembre è andato fumo il 30% di valore. Il passo falso di quest’anno segna inoltre una discontinuità rispetto al passato: per la prima volta dal 2014 la criptovaluta va in direzione opposta rispetto a Wall Street. Per il nuovo anno le nubi non mancano. «Il rischio strutturale principale è il possibile ritorno sul mercato di grandi quantità di Bitcoin detenuti da aziende», asserisce James Butterfill, head of research di CoinShares. In effetti tra il 2024 e il 2025 le aziende quotate che detengono Bitcoin sono salite da 44 a 190 e le loro riserve complessive sono passate da 265mila a oltre un milione di Bitcoin. Strategy di Michael Saylor da sola detiene il 61% delle riserve aziendali comportando un rischio di concentrazione molto elevato. «Se Strategy diventasse un importante venditore forzato – spiega Butterfill – potrebbe esercitare una forte pressione al ribasso sui prezzi del Bitcoin in quanto migliaia di monete virtuali potrebbero invadere il mercato».
Altro sviluppo potenzialmente critico per il Bitcoin, ma anche per l’oro, è il rischio di una stagflazione con la Fed costretta a una politica restrittiva e quindi rendimenti reali alti.
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