Tre anni consecutivi di rialzi, un 2025 avviato verso un guadagno superiore al 60% e oltre 45 nuovi massimi storici in 12 mesi. Numeri che non appartengono a un titolo tecnologico né a un indice globale, ma all’oro. Il metallo giallo corre più dell’S&P 500, fermo a 37 record, sfidando le statistiche e le certezze della finanza tradizionale. E pensare che tra il 2011 e il 2019 il prezioso era stato dimenticato. Nessun nuovo massimo per quasi un decennio e una raccomandazione quasi unanime tra i gestori: «Non più dell’1% del portafoglio», raccomandava Bank of America tra il 2017 e il 2023.
Oggi è l’inverso. C’è una febbre per un metallo che non è più solo un bene rifugio. Lo dimostra il paradosso che si sta vivendo: mercati in euforia e oro ai massimi. Due segnali che, in teoria, non dovrebbero convivere. E invece lo fanno, raccontando una storia più profonda. L’oro sta diventando una sorta di referendum sulla credibilità del sistema. «Il mercato sta certamente premiando il rischio, ma al tempo stesso fugge dalla promessa di stabilità delle banche centrali. – spiega Gabriel Debach, market analyst di eToro – L’oro diventa un “bond alternativo” in un mondo dove la politica monetaria non basta più a difendere il valore della moneta». E la nuova corsa all’intelligenza artificiale, con la prospettiva di una “guerra IA” tra Stati Uniti e Cina, agisce da acceleratore. «Per finanziare la supremazia tecnologica, gli Usa potrebbero essere costretti a stampare di nuovo, aumentando deficit e liquidità. – continua Debach – Con un debito elevato e nuove preoccupazioni sull’indipendenza della Federal Reserve, il metallo giallo è l’antitesi del dollaro: più si stampa, più l’oro si rafforza».
Nel frattempo, l’oro ha costruito fondamentali solidi. Dal 2022 le banche centrali comprano lingotti a ritmo forsennato. A questa spinta si somma la domanda degli investitori, che nel solo terzo trimestre hanno allocato 8,9 miliardi di euro in queste strategie. Si tratta di un record nella serie trimestrale di Morningstar. E ora sul mercato si affacciano anche nuovi interessati. Uno su tutti: Tether. Il gigante delle stablecoin quest’anno ha comprato più oro di qualsiasi banca centrale al mondo, secondo un’inchiesta del Financial Times. Un qualcosa come 26 tonnellate d’oro nel solo terzo trimestre, portando le sue riserve a oltre 116 tonnellate, con un peso che rappresenta circa il 2% della domanda globale. E il suo interesse non si ferma ai lingotti. Tether sta investendo anche sul business delle royalty, finanziando progetti minerari in cambio di una quota dei ricavi futuri.
E così oggi l’oro cresce più di cinque volte l’S&P 500 da inizio anno. E le previsioni rimangono costruttive. «Nonostante gli eccezionali guadagni registrati nel 2025, le proiezioni per il 2026 rimangono positive. – sostiene Ricardo Evangelista, senior analyst di ActivTrades – I rialzi potrebbero rallentare, ma i prezzi restano sostenuti da un dollaro strutturalmente debole e da un’elevata incertezza geopolitica». Alcune stime, tra cui quelle di Goldman Sachs, indicano un potenziale oltre i 4.900 dollari, con un picco a 5.000 dollari entro il 2030.
Il trend, dunque, potrebbe continuare, lasciando spazio anche agli investitori rimasti finora alla finestra. Le opzioni spaziano dal fisico, ai titoli auriferi, fino agli Etf sul settore minerario che stanno registrando performance a tripla cifra: oltre +120% in un anno per L&G Gold Mining e UBS Solactive Global Pure Gold Miners, +113% per il VanEck Junior Gold Miners. Ma l’oro non è a senso unico. «Cavalcare il trend è possibile, ma con consapevolezza», avverte Evangelista. Tra i rischi figurano una Federal Reserve meno accomodante del previsto e un dollaro più forte. Per ora, però, l’oro continua a parlare chiaro: non è solo un rifugio, ma uno specchio del sistema finanziario globale.
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