Che siano le tensioni sui dazi, lo shutdown o le attese per nuovi tagli Fed, un buon motivo per fare incetta di oro non sembra mancare mai ultimamente. Il metallo giallo è di gran lunga l’asset più brillante in questo 2025 con un eclatante +60%. Il ritmo di crescita è diventato vertiginoso nell’ultimo mese e mezzo: un passo spedito che, se mantenuto, spingerà al traguardo dei 5mila dollari l’oncia anche prima di Natale, ossia con un anno di anticipo rispetto alle stime da poco aggiornate al rialzo dalle varie Goldman Sachs e Bank of America.
C’è chi già si è spinto oltre, come l’investitore veterano Ed Yardeni che ha fissato l’asticella a 10mila dollari tra metà 2028 e inizio 2029 sulla base della traiettoria di crescita degli ultimi due anni. A conti fatti quest’anno l’oro segna rialzi più che tripli rispetto all’azionario globale e da più parti si interpreta la gold-mania come segnale tangibile della ricerca di una polizza contro l’incertezza creata dai tanti campanelli d’allarme in circolazione, compreso il rischio bolla IA. Una sorta di orsacchiotto di peluche anti-stress da tenere nel proprio portafoglio.
L’attuale corsa al rialzo dell’oro dura ormai da 740 giorni, rispetto a una media di 1.062 giorni per i precedenti mercati rialzisti. Inoltre, il World Gold Council sottolinea come le posizioni in oro in Etf e le posizioni lunghe sul Comex (dove vengono scambiati i futures sull’oro) rimangono al di sotto dei massimi osservati durante l’inizio della pandemia Covid-19. «La tendenza parla chiaro, al momento è ancora saldamente rialzista e non si vedono segnali di cedimento con la domanda di oro che resta forte, nonostante i prezzi sui massimi storici», taglia corto Carlo Alberto De Casa, analista per Swissquote, che allo stesso tempo rammenta la necessità di una maggiore cautela se si guarda al breve termine. «Inevitabilmente una correzione, potenzialmente anche nell’ordine del 10% potrebbe arrivare, soprattutto qualora le questioni geopolitiche (Usa, Russia e Cina) si risolvessero positivamente». Cos’altro potrebbe innescare un cambio di rotta? Peter Kinsella di Union Bancaire Privée (Ubp) ne indica tre possibili fattori scatenanti: rendimenti reali elevati (sopra il 2%) per un periodo prolungato, una forte correzione del mercato azionario (ribassi significativi dell’oro si sono verificati durante forti correzioni dei mercati azionari con 2008 e 2020) oppure il materializzarsi di vendite di riserve auree da parte di un Paese europeo per ridurre un deficit fiscale. Non va dimenticato che si tratta di un asset privo di rendimento (ossia niente cedole o dividendi) e in passato non è stato immune da correzioni anche profonde e prolungate. I più grandi drawdown (calo massimo dal picco precedente) sono stati di -70% nel periodo 1980-2001 e di -45% nel 2011-2015 (-28% nel solo 2013).
Intanto, la platea di chi fa incetta di oro si allarga. Settembre è stato da record in termini di flussi sugli Etf, pari a 17,3 miliardi di dollari (146 tonnellate) e dominati da Nord America (10,6 miliardi) ed Europa (4,4 miliardi); gli investitori retail si stanno accodando al rally con un po’ di ritardo, a differenza delle banche centrali che dal 2022 in avanti hanno continuato a riempire i loro caveau di lingotti, in media oltre 1.000 tonnellate di acquisti netti l’anno. L’esposizione a questo asset dei retail appare ancora poca cosa. «L’oro nei portafogli privati è poco, l’1% circa. Basterebbe che balzasse al 2% per vedere nuove tensioni sui prezzi», argomenta Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partners SGR; decisamente meno rispetto al 15% indicato dall’investitore miliardario Ray Dalio, fondatore di Bridgewater Associates, che ha paragonato la situazione attuale a quella dei primi anni ’70, quando l’inflazione, l’elevata spesa pubblica e alto debito pubblico erodevano la fiducia nei titoli di Stato.
Per l’investitore europeo gli strumenti finanziari quotati per investire sull’oro si chiamano Exchange Traded Commodities (Etc), che a differenza degli Etf non sono fondi comuni e chi li acquista non possiede direttamente oro. «Si tratta di un titolo di debito emesso da una società e chi lo acquista diventa un suo creditore. Nel caso degli Etc garantiti da oro custodito in caveau; nel caso degli ETC sintetici il prezzo viene replicato tramite derivati come swap o futures; questo elimina i costi di stoccaggio, ma aggiunge un rischio legato alla solidità della controparte», sottolinea a Moneta Lorenzo Demaria, country manager Italy di justEtf. In totale in Europa ci sono 58 ETC sull’oro, di cui 53 lo replicano fisicamente, mentre solo 5 utilizzano una replica sintetica non detenendo fisicamente il metallo giallo (replicano la performance tramite derivati come swap o futures). La replica fisica è nettamente predominante in termini di masse gestite: 146 miliardi di euro, circa 100 volte rispetto ai 149 milioni di masse per quelli sintetici. «Oltre a presentare spese più contenute (tra lo 0,11% e lo 0,59% l’anno) rispetto all’acquisto diretto di oro attraverso monete o lingotti, gli ETC sono fiscalmente efficienti dando la possibilità di compensare plusvalenze e minusvalenze», aggiunge Demaria. Non va tralasciato il fatto che l’oro viene scambiato in dollari e quindi l’investitore europeo risulta esposto al rischio cambio. Se l’euro è forte, come successo finora quest’anno (circa +10% contro il dollaro), vanno a ridursi i guadagni, e viceversa. Per chi non vuole esporsi a tale dinamica valutaria, esistono anche ETC con copertura valutaria (hedged) che neutralizzano questo effetto, ma a un prezzo: oltre a un Ter (costo annuo) più alto, bisogna considerare il costo della copertura, dovuto al differenziale dei tassi tra euro e dollaro.
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