Le sanzioni economiche imposte alla Russia dai Paesi occidentali dopo l’invasione dell’Ucraina hanno colpito duramente anche il settore petrolifero. Mosca, terzo produttore mondiale di petrolio con il 12,8% della produzione globale secondo i dati della US Energy Information Administration dietro Stati Uniti (14,7%) e Arabia Saudita (13,2%) è stata parzialmente esclusa dal mercato europeo, uno dei suoi principali sbocchi. Inizialmente, le tensioni e l’incertezza legata al conflitto ucraino avevano fatto salire i prezzi del greggio, poi tornati a ridimensionarsi progressivamente, complici anche il rallentamento dell’economia globale e il riassetto dei flussi commerciali. La Russia ha infatti trovato nuovi acquirenti, come Cina e India, disposti a comprare il suo petrolio. Tuttavia, l’equilibrio dell’intero mercato è stato profondamente alterato dalle restrizioni occidentali. Il Brent quest’anno si è spinto fino ai minimi dal 2021 passando dagli 82 dollari al barile di inizio anno ai 65 dollari attuali.
L’Italia in questi anni ha ridotto gradualmente il proprio import di petrolio russo e oggi è l’Africa il suo principale fornitore, con il 36,6% del totale a fine 2024, in crescita del 15,7% rispetto all’anno precedente. Seguono i Paesi dell’ex Unione sovietica con il 31,4%, in calo dell’1,5%, mentre al terzo posto si collocano i Paesi del Medio Oriente, che insieme forniscono all’Italia il 17,8% del totale con una diminuzione del 28,2% sul 2023. Gli Usa, da parte loro, sono scesi del 10% e coprono attualmente soltanto l’11,1% del totale. In termini quantitativi, un documento del marzo scorso quantifica le esportazioni totali russe verso l’Italia via mare in un controvalore di 80 miliardi di euro, di cui 57 miliardi di greggio e i restanti 23 miliardi di prodotti petroliferi. La Libia è tornata così dopo 10 anni ad essere il primo fornitore dell’Italia. Inoltre, la guerra tra Israele e Hamas, scoppiata nell’ottobre 2023, ha avuto come conseguenza una significativa riduzione dell’import dal Medio Oriente, dovuta soprattutto ai problemi dell’attraversamento del Mar Rosso.
L’Italia, secondo le rilevazioni dell’Unem (Unione energie per la mobilità) ha importato dal Paese nordafricano, tra gennaio e giugno 2024, 6 milioni e 253 mila tonnellate di greggio, pari al 22,3% del totale. L’incremento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente è stato del 37,7%.
Ma non c’è solo il petrolio anche se l’economia mondiale ruota ancora intorno all’oro nero. Malgrado l’attenzione mediatica e gli sforzi fatti dagli operatori pubblici e privati, le rinnovabili mostrano ancora una lenta espansione. L’eolico e l’energia solare sono fonti in lenta espansione, il cui utilizzo copre però, almeno per il momento, una parte trascurabile del fabbisogno. Quanto all’eolico, o energia del vento, attualmente sono circa 7.500 gli aerogeneratori operanti sul territorio italiano, per un totale di potenza installata pari a poco più di 12 mila megawatt. La quota di energia pulita prodotta da questa fonte nel 2023 (ultimi dati ufficiali disponibili) è stata di circa 23,4 miliardi di chilovattora, pari al fabbisogno di 23 milioni circa di persone. Più significativa l’espansione dell’energia solare.
Questo settore nel 2024 ha registrato in Italia una crescita importante, con un aumento di circa il 30% della capacità installata. La produzione di energia elettrica da solare è cresciuta del 19,3% rispetto all’anno precedente, raggiungendo il suo massimo storico. L’Italia è diventata il secondo paese in Europa per crescita nella produzione da solare, dopo la Polonia. Secondo i dati Terna elaborati da Acea Energia, nel 2024 l’Italia ha installato 265.395 nuovi impianti fotovoltaici, portando la capacità complessiva a crescere di 6.108 megawatt, con un incremento del 36% rispetto al 2023.
A Piazza Affari i titoli dell’energia (che comprendono oltre alle società legate al petrolio anche quelle che trattano gas e derivati) sono pochi ma significativi. Esiste un indice a loro dedicato, il Ftse Mib Italia Energia, che curiosamente ha segnato massimo e minimo dell’anno a pochi giorni di distanza uno dall’altro. Martedì 1° aprile ha toccato quota 18.162 ed esattamente sette giorni dopo è sceso al punto più basso (14.708), per poi ritornare all’inizio della settimana in corso in area 17mila. Di questo indice fanno parte soltanto cinque titoli, quattro dei quali (Eni, Saipem, Snam e Tenaris) appartengono anche al Ftse Mib. Il quinto è Gas Plus, che rappresenta una piccola realtà (meno di 150 dipendenti) operante nel settore del gas naturale ma è presente anche nell’intera catena energetica, dall’esplorazione e produzione fino alla distribuzione agli utenti finali e alle operazioni di stoccaggio. L’andamento borsistico di questi titoli riflette di norma quello degli indici. Spesso però le quotazioni si muovono autonomamente, in relazione alle oscillazioni dei prezzi petroliferi. Vediamoli singolarmente.
Eni
Acronimo di Ente nazionale idrocarburi, fondato nel 1953 da Enrico Mattei come ente pubblico, è stato privatizzato nel 1992. Attualmente il Ministero dell’Economia e delle Finanze ne detiene il controllo, sia direttamente, sia attraverso la Cassa Depositi e Prestiti. Positiva la performance dell’ultimo mese (+6,98%), ma sono in rosso i confronti con sei mesi fa (-4,41%) e con un anno fa (-11,46%). Il titolo è costantemente monitorato da parte di analisti e banche d’affari. L’ultimo report in ordine di tempo è quello del 19 maggio scorso emesso da Jefferies, che conferma la raccomandazione buy (comprare) e fissa a 15 euro il prezzo obiettivo.
Saipem
Con 30mila dipendenti, fornisce servizi per il settore energia e relative infrastrutture. Il titolo ha chiuso martedì a 2,09 euro, a fronte del minimo dell’anno di 1,589 registrato il 7 aprile scorso e portando così al 12,43% la performance realizzata nell’ultimo mese. Restano negativi, invece, i confronti con le quotazioni di sei mesi fa (-10,59%) e di un anno fa (-7,92%). Mediobanca lo scorso mese aveva promosso il titolo “outperform” (farà meglio del mercato) e indicato a 2,3 euro l’obiettivo di prezzo da raggiungere.
Snam
Ha la sede a San Donato Milanese ed è il primo operatore europeo nel tra-sporto del gas naturale. La società è attiva anche nello stoccaggio e nella rigassificazione del gas naturale liquefatto. Ha circa 4mila dipendenti. Il titolo vale poco più di 5 euro per azione, in progresso del 7,05% nell’ultimo mese, del 20,62% nel semestre e del 15,42% rispetto a un anno fa. Il 12 maggio scorso Mediobanca, pur confermando il giudizio “neutral” sul titolo, ha alzato a 5,5 euro l’obiettivo di prezzo.
Tenaris
È il maggior produttore e fornitore a livello globale di tubi e servizi per l’esplorazione e la produzione di petrolio e gas. Oltre che a Milano, la società è quotata anche a New York e alle Borse di Buenos Aires e Città del Messico. Il titolo a Piazza Affari viene scambiato attualmente tra i 14 e i 15 euro, in miglioramento rispetto al minimo dell’anno di 13,665 euro toccato il 9 aprile scorso, ma ancora in calo se si considerano l’ultimo semestre (-14,78%) e l’ultimo anno (-8%). Cauti i giudizi più recenti, risalenti al 6 maggio scorso, con la conferma del “buy” (comprare) da parte di Intesa SanPaolo e del “neutral” di Mediobanca, che hanno fissato il prezzo obiettivo rispettivamente a 17,3 e 17 euro.
© Riproduzione riservata