La filosofia insegna che dal confronto non si deve certo scappare, anzi è proprio nel dialogo che si cresce. Lo stesso accade con la pubblicità comparativa che ha avuto sovente il merito di rendere più chiara l’informazione per i consumatori. In tutto ci dovrebbe tuttavia essere una misura, soprattutto nel mondo del credito, dove l’aplomb dovrebbe essere molto più di un panciotto allacciato sopra una camicia bianca con cifre e gemelli ai polsi. Dovrebbe essere un modo di esprimersi, una evidenza nel porsi che trae forza dalla sua stessa eleganza, dalla capacità di essere stentorei senza mai alzare la voce. Revolut non ce ne voglia, ma non ci pare davvero di poter dire lo stesso dello spot «La scelta intelligente per i più giovani» con cui la banca online paragona la propria carta a quella di Postepay. Il tutto con tanto di stellette Trustpilot in bella vista e annessa bocciatura del gruppo controllato dal Tesoro sulla frontiera della sostenibilità. Guarda caso proprio uno dei nervi scoperti a cui maggiormente guardano le nuove generazioni.
Anche tutto il resto – dalle commissioni all’attivazione della carta – è una sequela di bacchettate sulle dita di Poste. Lo stesso uso del colore giallo per la carta Revolut pare un piccolo sfregio visivo che dice più di mille parole. Sicché, più che un confronto tra prodotti, quello messo in scena da Revolut sembra uno strillo da cortile. Una provocazione che gioca su una retorica binaria: da una parte la modernità smart, veloce, fluida; dall’altra un apparato lento, impolverato. Una narrazione comoda. Peccato che questa visione – per quanto accattivante a livello pubblicitario – si infranga sulla realtà di milioni di utenti italiani che usano con soddisfazione Postepay ogni giorno, anche per necessità. E peccato ancora di più che a farlo sia un attore che dovrebbe, per ambizione e dimensione, aspirare a un tono diverso, più maturo.
Chi vuole insegnare agli altri a essere smart dovrebbe iniziare dall’ABC della buona comunicazione: sobrietà, rispetto, e perché no, anche un filo di classe. Soprattutto quando ci si rivolge ai giovani. Perché non basta vestirsi da “banca nuova” per essere davvero alternativi: il rischio, in questi casi, è di somigliare più a un influencer col fiatone che a un istituto solido e responsabile. E mentre Revolut cerca like e comparazioni, forse dovrebbe ricordare che la fiducia – soprattutto nel credito – non si costruisce con le stellette, ma con la sostanza. Quella che, tra un giallo acceso e un claim strillato, in questa campagna pubblicitaria sembra essersi persa.
© Riproduzione riservata