La proposta di Donald Trump di abolire la rendicontazione trimestrale per le società quotate negli Stati Uniti riaccende un dibattito che Oltreoceano va avanti da parecchio. L’idea, già avanzata durante il primo mandato del tycoon, è stata rilanciata nelle scorse settimane dal potus su Truth, il social di sua proprietà. Prevede che le aziende possano comunicare i propri risultati finanziari due volte l’anno anziché quattro. Il cambiamento «farà risparmiare denaro e consentirà ai manager di concentrarsi sulla corretta gestione delle loro aziende», ha scritto . L’autorità di vigilanza sui mercati americana – la Sec – ha dichiarato che la proposta è stata prioritaria e si dimostra in linea con l’obiettivo di «eliminare ulteriormente gli oneri normativi non necessari per le aziende».
Adena Friedman, ceo del Nasdaq concorda con Trump sul fatto che fornire alle aziende la possibilità di scegliere tra rendicontazione trimestrale o semestrale diminuirebbe «l’attrito, l’onere e i costi» della quotazione. Secondo Friedman semplificare i requisiti potrebbe «iniettare energia nei mercati dei capitali e stimolare la crescita economica».
Ma non tutti sono d’accordo. L’amministratore delegato di Goldman Sachs, David Solomon, ha lamentato il fatto di non essere stato informato della questa misura. «Non sono pronto a dare l’advocacy pubblica da una parte o dall’altra», ha detto durante un evento della Georgetown University. «Non è una questione cristallina e, fino a una settimana fa, non sapevo che fosse qualcosa a cui dovevo pensare in questo momento», ha spiegato. Il rischio è quello di avere delle informazioni sempre più frammentate e che vengano condensate in un lasso temporale con un periodo di buio più lungo, che impedisce agli investitori di avere una competenza più specifica dei margini che vengono realizzati dalle aziende. Prospettiva ancor meno rassicurante alla luce dei continui scossoni di incertezza che Trump infligge ai mercati con dichiarazioni e dietro front in politica geo-economica.
«Se io sono un investitore e la quotata nella reportistica mi riporta un risultato che era in linea con quelle che erano le mie aspettative quando avevo investito, mi rendo conto che risulta una società affidabile in cui posso continuare a investire perché le mie aspettative erano corrette», spiega a Moneta l’avvocato Alessandro Keller, esperto in diritto societario.
Nella misura in cui il periodo di buio aumenta diventa difficile capire quali siano i risultati intermedi che l’azienda consegue. Ma soprattutto il rischio è che chi è a conoscenza di informazioni privilegiate possa «divulgarle a soggetti terzi, oltre a farne personalmente uso». In Italia abbiamo un testo unico di intermediazione finanziaria, il Tuf, che «punisce proprio l’insider trading, anche quello secondario. Questo ci fa capire che le comunicazioni che vengono divulgate sono da mettere sotto esame con rigidità».
Le società pubbliche negli Stati Uniti sono tenute a presentare relazioni trimestrali dal 1970. L’Ue e il Regno Unito sono passati all’obbligo di rendicontazione trimestrale a metà degli anni 2000, per poi tornare agli obblighi di rendicontazione semestrale negli anni 2010. Anche dopo il ritorno all’informativa semestrale, alcune società – in particolare le grandi – hanno continuato a produrre comunicazioni trimestrale, per rimanere in linea con gli standard internazionali. Se si passasse alle trimestrali anche negli Stati Uniti «ci potrebbe essere un effetto domino e un allineamento alla prassi Usa», avverte Keller.
Secondo Lawrence Summers, ex segretario del Tesoro sotto la presidenza Clinton, i mercati dei capitali americani hanno prosperato proprio grazie alla loro responsabilità e trasparenza date dalla «la frequente responsabilità e la sostanziale condivisione delle informazioni». Anche BlackRock, uno dei maggiori gestori patrimoniali del mondo, è diffidente. In un commento alla Sec ha fatto sapere che «la potenziale perdita di trasparenza e disponibilità tempestiva di informazioni per gli investitori supererebbe i potenziali benefici». Da ricordare però che – come si legge dai dati del Nasdaq – negli ultimi vent’anni, il numero di società quotate in Borsa è diminuito del 36 per cento.
«La bontà di un’azienda non deriva dalla frequenza con cui questa va a pubblicare i dati», commenta a Moneta Silvio Bona, analista indipendente. «In Europa abbiamo una pubblicazione spot – non troppo dettagliate – di alcune anticipazioni sulle semestrali. Per questo non credo che si arriverà ad avere un’onda lunga di questo intervento anche qui». Certo, «un anno senza dare notizie non è ammissibile, ma non credo ci saranno grandi problematiche con tre mesi in più di comunicazione sui bilanci. Se le verifiche vengono fatte trimestralmente per chi investe è meglio, ma non è il dato trimestrale che fa la differenza».
L’annuncio arriva però in un periodo di zone d’ombra sulla credibilità della Fed, costantemente assediata dalle minacce di Trump, che ora al suo interno ha piazzato un suo proxy: Stephen Miran. «Questo mina parecchio la credibilità. Trump sta mettendo mano al sancta sanctorum della moneta di riserva mondiale. Questo è estremamente pericoloso». Mercoledì scorso, i rendimenti dei titoli di Stato americani sono scesi anche a causa dell’incertezza legata allo shutdown del governo federale – il primo dopo sette anni -, che alimentale ansie e i dubbi degli investitori sull’andamento futuro dell’economia americana.
Leggi anche
© Riproduzione riservata