PayPal ha già la sua stablecoin e i giganti bancari americani sono pronti a fare lo stesso. Bank of America è in prima linea, mentre JPMorgan e Citigroup sono pronte ad accodarsi anche se con qualche titubanza su questo specifico asset digitali, progettato per mantenere un valore nominale fisso agganciato a una valuta ufficiale, solitamente il dollaro statunitense, e in grado di operare senza interruzioni, 24 ore su 24, con un meccanismo di regolamento decentralizzato in tempo reale. Il ceo di Citi, Jane Fraser, invita a non trascura i possibili rischi associati, tra cui la possibilità di cortocircuiti in caso di panico tra gli investitori in quanto al momento circa l’88% di tutte le transazioni in stablecoin viene utilizzato per regolare le operazioni in criptovalute e solo il 6% è destinato ai pagamenti.
I precedenti allarmanti non mancano. Più di venti stablecoin sono crollate tra il 2016 e il 2022 e ognuna delle principali stablecoin ha perso l’aggancio al proprio valore di riferimento in più occasioni tra il 2019 e il 2023. L’ultimo caso di perdita del peg con il dollaro è stato quello di FDUSD di First Digital, terza più grande stablecoin e che ad aprile è stata accusata da Justin Sun, fondatore di Tron, di essere insolvente e di aver gestito in maniera opaca oltre 450 milioni di riserve.
La nuova cornice legislativa voluta da Donald Trump, il cosiddetto Genius Act, appena approvato dal Congresso Usa, permetterà alle aziende statunitensi di emettere e gestire stablecoin garantite dal dollaro per i pagamenti, aprendo le porte a una più ampia adozione di queste criptovalute ‘stabili’ che già vantano un mercato di oltre 265 miliardi di dollari, con scambi giornalieri intorno ai 24 miliardi, non lontani dai 34 miliardi del Bitcoin.
A dominare il mercato è Tether con Usdt: La società guidata dagli italiani Giancarlo Devasini e Paolo Ardoino e che nel 2024 ha generato una montagna di profitti (13 miliardi) grazie ai proventi derivanti dagli ingenti quantitativi detenuti di Treasury, oro e bitcoin. C’è poi Usdc, il cui emittente Circle ha debuttato a Wall Street con balzi a tre cifre e una valutazione arrivata a 50 miliardi. Sommate le cripto di Tether e Circle rappresentano circa il 93% del volume delle transazioni di stablecoin, che hanno raggiunto diversi trilioni di dollari, un dato che a detta di Michael Cembalest di JP Morgan AM è fuorviante in quanto circa il 99% di questa cifra si riferisce ai volumi di contanti in criptovaluta detenuti in conti cripto (definiti «le fiches del poker nel casinò delle criptovalute» dall’ex presidente della Sec Gary Gensler).
Non solo banche
Anche aziende come Amazon, Apple e Walmart, solo per citarne alcune, potrebbero ottenere una licenza per avere la loro stablecoin che le permetterebbero di tagliare le commissioni degli intermediari finanziari agendo anche da leva per fidelizzare i clienti. Ad oggi circa il 95% delle stablecoin è ancorato a valute sovrane, che si impegnano a garantire una copertura dei depositi in rapporto uno a uno, attraverso riserve costituite da asset di qualità elevata – come i titoli di Stato Usa a breve scadenza (T-bills). In questo modo gli emittenti sono divenuti importanti acquirenti di debito statunitense, offrendo una sponda prospettica alla necessità di Trump di finanziare l’extra debito generato dal suo piano fiscale.
Non mancano i punti di domanda. Il Genius Act indica che i possessori di stablecoin avranno priorità nel recupero dei propri asset in caso di fallimento dell’emittente. Pertanto, nel caso delle banche, verrebbero prima degli altri creditori non crypto. Il timore è quindi che ciò possa creare un campo di gioco impari in cui una classe di detentori di asset digitali riceve un trattamento preferenziale. In Europa a storcere il naso davanti alle nuove regole statunitensi è stata in prima persona Christine Lagarde. La presidente della Bce vede una certa «confusione» tra i concetti di moneta, mezzo di pagamento e infrastruttura di pagamenti, e «questo offuscamento delle linee di confine possa portare a una privatizzazione della moneta». Inoltre, i differenti approcci normativi sulle due sponde dell’Atlantico possono avere ripercussioni non da poco in caso di tensioni sui mercati. Il rapporto 2024 del Comitato europeo per i rischi sistemici (Esrb) nota come «in una situazione di stress di mercati i detentori di stablecoin negli Usa potrebbero essere spinti a riscattare i loro asset attraverso un emittente europeo, per aggirare le commissioni di riscatto imposte dagli emittenti statunitensi» che invece il regolamento europeo Mica non consente». Il risultato – avvisa il rapporto – sarebbe che delle riserve accantonate per le stablecoin in base al Mica finirebbero per beneficiare i detentori americani lasciando potenzialmente quelli europei senza la protezione fornita dal Mica.
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