Più volte in passato l’eccesso di euforia ha provocato cadute fragorose delle Borse. Lo scoppio della bolla delle dot.com risale ormai a un quarto di secolo fa, ma il suo eco è ancora ben vivo e gli investitori si interrogano sulle eccessive valutazioni raggiunte da tutto ciò che ha a che fare con l’intelligenza artificiale. Siamo di fronte a una nuova bolla? Tanti in questi mesi, compreso il numero uno della Federal Reserve Jerome Powell, si sono affrettati nel gettare acqua sul fuoco spiegando come le big tech sono super redditizie. L’utilizzo dell’IA generativa si sta diffondendo a macchia d’olio con oltre il 60% degli adulti statunitensi che afferma di interagirci diverse volte a settimana, eppure c’è chi dubita sulle reali ricadute economiche di questa rivoluzione. Phil Clifton, ex gestore associato di portafoglio di Scion, ritiene che i fattori economici alla base dell’imponente sviluppo infrastrutturale del settore non ne giustificano ancora i costi e ad oggi il mondo degli investimenti sopravvaluta l’impatto reale di questa tecnologia. In effetti, OpenAI dovrebbe superare i 20 miliardi di dollari di fatturato annuo quest’anno, una cifra irrisoria rispetto alle dimensioni dell’IA con gli hyperscaler – tra cui spiccano Google, Amazon e Microsoft – che hanno quadruplicato la loro spesa in conto capitale negli ultimi anni, arrivando a quasi 400 miliardi di dollari all’anno e con aspettative di 3.000 miliardi nei prossimi cinque anni secondo Man Group. È quindi il caso di valutare il tipo di esposizione futura sull’universo tecnologico nel suo complesso dopo tre anni di corsa a perdifiato che ne ha accresciuto ulteriormente il peso specifico su Wall Street e sull’intero azionario globale.
Dietrofront
A riprova di ciò il recente dietrofront di Nvidia, simbolo della rivoluzione IA e che in poche settimane ha visto il proprio valore sgonfiarsi fino a quasi -20% dai massimi storici. Guardando a fondo dentro i numeri di Nvidia emerge che in alcuni trimestri un solo cliente ha rappresentato oltre il 20% dei ricavi totali, un secondo cliente quasi altrettanto, e una manciata di altri grandi account si colloca nella fascia 10–14%. «Finché questo gruppo di colossi è in piena corsa ad aumentare i capex AI, la concentrazione è un vantaggio: pochi clienti giganteschi che comprano volumi enormi – asserisce Paolo D’Alfonso, co-head della direzione investimenti di Finint Private Bank – ma la stessa struttura crea un rischio speculare: se uno di loro rallentasse gli ordini, rinvia investimenti o sposta una parte significativa delle inferenze su chip proprietari, l’effetto sui conti di Nvidia sarebbe immediato e sensibile».
«Non è il settore nel complesso ad avere multipli fuori scala, ma alcune nicchie dove il mercato sta premiando i titoli più della capacità di generare utili e cassa», specifica a Moneta Alessio Garzone, portfolio manager di Gamma Capital. Da un lato Nvidia, Alphabet, Microsoft, Amazon e Meta – per fare i nomi più blasonati – sono in una situazione in cui gli utili crescono più dei prezzi e quindi non si è davanti a valutazioni fuori scala. Per quanto riguarda invece le ‘sacche di entusiasmo‘ che se il mercato decidere di correggere sarebbero i primi a subirne le conseguenze. Secondo Garzone sono facilmente individuabili nel settore del nucleare ’AI-driven’ con il mercato che sta scontando scenari futuristici senza base economica solida. «Oklo ha una capitalizzazione da big cap, zero ricavi, utili negativi per anni (anche prospettici), tutto appeso a licenze governative e MoU dai ritorni intangibili», spiega il portfolio manager, l’altro è il settore del quantum computing con tre nomi ricorrenti quali IonQ, Rigetti, D-Wave, aziende che producono molta ricerca, molta narrativa e anche molte perdite a bilancio. «IonQ vale multipli che presuppongono un mercato quantum maturo, quando persino Nvidia dice che il quantum non sarà particolarmente utile nei prossimi 15–30 anni». Tra i titoli estremamente cari a Wall Street spiccano Palantir e Oracle. La prima tratta a multipli «che scontano una crescita lineare su 10 anni (significa che non ci devono essere intoppi, cosa impossibile per qualsiasi azienda) – asserisce Garzone – mentre per Oracle il problema non sono tanto le valutazioni, ma le promesse un po’ fuori scala sul fatturato prospettico». L’azienda di Larry Ellison ha cash flow negativo e i suoi ricavi dipendono in gran parte da OpenAI.
Beneficiari
Tornando alle valutazioni in generale, diversi indicatori azionari suggeriscono valutazioni elevate. «Il mercato può apparire caro da diversi punti di vista, ma non mostra quei segnali tipici di una bolla azionaria che alcuni vorrebbero leggere nell’attuale livello delle valutazioni», spiega Alessandro Tentori, direttore investimenti Europa di Axa Investment Managers. Chi vede il bicchiere ancora totalmente pieno è Dan Ives di Wedbush, uno dei maggiori esperti di Wall Street sul settore tech. «Non abbiamo ancora visto l’inizio della rivoluzione dell’IA tra i consumatori e solo il 5% della aziende Usa ha davvero intrapreso il percorso strategico dell’IA – taglia corto Ives – ci aspettiamo nel 2026 un’ondata di investimenti legati all’intelligenza artificiale da parte di governi con le big tech statunitensi in prima linea come beneficiari».
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