C’è una nuova crisi che serpeggia tra i numeri apparentemente solidi dell’economia statunitense. Non si tratta di inflazione o tassi d’interesse: è la fuga delle donne dal mercato del lavoro. Una “grande uscita” silenziosa, l’ha definita Kpmg, ma potenzialmente devastante per la crescita a lungo termine della prima economia mondiale.
Tra gennaio e agosto di quest’anno, in un periodo in cui la forza lavoro complessiva è rimasta relativamente stabile, circa 455.000 donne hanno abbandonato l’occupazione negli Stati Uniti, secondo le stime del Bureau of Labor Statistics (nel confronto con l’anno scorso, sono addirittura 600mila donne in meno che lavorano). Un calo che, per dimensioni, ha pochi precedenti nella storia recente: solo durante la pandemia si registrò un esodo più ampio. E se il trend dovesse proseguire, gli economisti avvertono, il rischio non sarà solo quello di cancellare le conquiste storiche ottenute dalle donne negli ultimi anni, ma anche di soffocare la crescita economica degli Stati Uniti.
“Sta diminuendo sia la crescita attuale che quella potenziale dell’economia. Non si tratta di uomini o donne: abbiamo bisogno di tutti,” osserva Diane Swonk, capo economista di Kpmg.
Negli anni che precedettero il Covid, la partecipazione femminile alla forza lavoro, soprattutto tra le donne in età lavorativa centrale (25-54 anni), cresceva più rapidamente di quella maschile. Poi la pandemia ha interrotto questo trend: in pochi mesi, il tasso di partecipazione femminile è crollato di oltre 3 punti percentuali, raggiungendo il 73,5%, mentre milioni di donne – il 55% dei 21,9 milioni di posti persi – restavano a casa per occuparsi dei figli o dei genitori anziani.
La ripresa successiva fu lenta e irregolare. Solo nel 2023 le donne hanno riconquistato terreno, ma il sollievo è durato poco, perché negli ultimi mesi, si è invertita nuovamente la rotta. Dai massimi post-pandemia, la partecipazione femminile complessiva negli Stati Uniti è scesa dal 57,7% nell’agosto 2024 al 56,9% di oggi, ha avvertito l’Economist: una flessione di quasi un punto percentuale (i tassi di partecipazione alla forza lavoro in genere si muovono in modo molto modesto, spingendo verso l’alto o verso il basso di soli qualche decimi di punto percentuale nell’arco di anni). Tanto che la Cnn ha coniato un nuovo termine per questo fenomeno: la “she-cession”, un gioco di parole tra recession (recessione) e she (lei).
E l’aspetto più allarmante è che questo esodo è guidato da lavoratrici altamente qualificate e istruite, con tanto di laurea e master, ma madri di figli piccoli. Dall’altra parte, gli uomini con figli piccoli hanno invece aumentato la loro partecipazione lavorativa.
Dietro questa pericolosa inversione si nasconde una combinazione di fattori economici e sociali.
I costi dell’assistenza all’infanzia che negli Stati Uniti sono aumentati più rapidamente dell’inflazione, mentre la retribuzione reale in molti settori a prevalenza femminile è rimasta stagnante. Il ritorno forzato al lavoro in presenza, poi, ha eliminato la flessibilità che durante la pandemia aveva permesso a molte madri di conciliare carriera e vita familiare.
Secondo Kpmg, si tratta di una “Grande Uscita” che segna una svolta storica. Dopo quasi 80 anni di progressi più o meno costanti – da quando il BLS iniziò a registrare i dati di genere nel 1948 – il divario tra uomini e donne nella forza lavoro torna ad allargarsi. La perdita di lavoratrici altamente formate rischia così di ridurre la produttività e la capacità innovativa del Paese.
Un’erosione silenziosa, che potrebbe presto farsi sentire anche nei conti nazionali. Perché, come ricordano gli economisti, la crescita non è solo una questione di numeri: è anche, e soprattutto, una questione di partecipazione.
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