Uno degli obiettivi della missione 6 del Pnrr è che entro fine anno ci siano 300mila italiani assistiti con servizi di telemedicina. Una goccia nel mare dei 58 milioni di concittadini, ma il timore è che non ci sarà nemmeno la goccia. Intendiamoci, sul fronte della comunicazione medico-paziente, gli strumenti digitali sono sempre più utilizzati: il 44% dei pazienti usa la posta elettronica per sottoporre al proprio medico i referti; il 26% si affida a Whatsapp, il 17% conta ancora sui vecchi sms. I tre canali digitali hanno sostituito la telefonata, integrando la possibilità di associare un messaggio con una immagine. Non solo. Da qualche anno la sanità digitale ha introdotto la ricetta elettronica. Nessuno si avventura più allo studio del medico di base per «farsi fare la ricetta». Basta una mail, magari indirizzabile direttamente alla farmacia, e la prescrizione diventa farmaco.
Ma certamente tutto ciò non è ancora telemedicina. È un adeguamento progressivo degli strumenti della relazione alle finalità del monitoraggio della propria salute. È sanità digitale, ma ancora lungi dall’essere strutturata e organizzata in telemedicina. Certamente dopo il Covid ci siamo sempre più arrangiati a immaginare nuove modalità di contatto. Secondo Unisalute, che rielabora dati di Cittadinanzattiva e dell’Osservatorio Sanità Digitale del Politecnico di Milano, prima dell’emergenza l’uso degli strumenti digitali in sanità era inferiore al 10%, mentre durante la crisi ha superato il 30% per molte applicazioni. Si è capito che la salute aveva uno spazio privilegiato da conquistare in modalità remota.
Un esempio clamoroso è quello delle terapie psicologiche online. È esploso un bisogno, si è trovato subito un mercato. Qui siamo un po’ più vicini alla telemedicina. I servizi di telemedicina sono almeno sei: il più praticato a oggi è il «teleconsulto» tra medici, ovvero la discussione di casi clinici tra centri diagnostici distanti tra loro, adottato dal 47% degli specialisti e dal 39% dei medici di medicina generale. Seguono la televisita, ossia la visita medica a distanza, e il telemonitoraggio, utilizzato dal 23% degli specialisti e dal 43% dei medici di medicina generale. Seguono la teleconsulenza tra medici e professionisti sanitari, la teleassistenza e persino la teleriabilitazione.
Le potenzialità sono altissime: basti pensare che la crisi demografica e la razionalizzazione delle spese di welfare e di sanità in particolare hanno imposto la chiusura di molti presidi medico-ospedalieri; e in molte aree interne del Paese i servizi di telemedicina assicurerebbero una essenziale modalità di assistenza primaria.
Certo, a condizione che i medici sappiano usare queste nuove modalità. Il problema è serio. Il rilievo è sottolineato dall’ente di previdenza dei medici, l’Enpam: «Esistono evidenze solide di un gap formativo nelle competenze digitali dei professionisti sanitari italiani». Molte di queste competenze non vengono attualmente affrontate nemmeno durante il percorso universitario, e ciò è fondamentale affinché possano utilizzare in sicurezza ed efficacia gli strumenti destinati a diventare parte integrante della pratica clinica nei prossimi decenni. Enpam si è adoperato per offrire una piattaforma, Tech2Doc, per mettere «a disposizione percorsi formativi, articoli, quiz e altri prodotti interattivi, pensati per accompagnare i medici nell’acquisizione di competenze digitali».
La frontiera digitale è inevitabile per evolvere i servizi di medicina di domani. Un altro esempio è quello del fascicolo sanitario elettronico, ormai attivo in tutte le Regioni, «che ha ottenuto oltre 23 milioni di consensi al caricamento dei propri dati, solo 3,6 milioni di utenti attivi nell’utilizzo, ma soprattutto ancora assai incompleto nel caricamento dei dati e assai disomogeneo, per colpa della territorialità regionale, e a causa della scarsa comunicazione tra sanità pubblica e sanità privata». Giampaolo Stopazzolo, presidente di Medicx, è da anni all’avanguardia su questi temi e per questo gli è stato richiesto di offrire soluzioni innovative anche per quelle realtà che operano nella sanità integrativa, come Cadiprof, la cassa mutua dei dipendenti degli studi professionali che può contare su una app di teleconsulto medico.
I servizi di telemedicina, compreso lo sviluppo della sanità digitale, hanno bisogno di un intervento decisivo dell’IA: quand’anche fosse completato l’accumulo di dati nei fascicoli sanitari elettronici e tutta la storia clinica di un paziente fosse disponibile nel momento di una televisita, al medico servirebbe un motore di sintesi intelligente nella congerie dei dati. Altrimenti la digitalizzazione, da sola, non riuscirebbe a risolvere il problema dell’intelleggibilità delle informazioni accumulate.
L’assistenza di prossimità, il monitoraggio dei parametri biologici e la gestione della cronicità sono le aree dove applicare al meglio le novità della sanità digitale. Circa il 39-40% della popolazione italiana convive con almeno una malattia cronica, ovvero circa 24 milioni di persone. Entro il 2028 i malati cronici saliranno a 25 milioni. Per affrontare l’aumento, bisogna immaginare percorsi innovativi di gestione della cronicità attraverso le tecnologie sanitarie.
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