E’ tempo del nuovo Piano triennale dei fabbisogni. E all’Inps ci si prepara ad aggiustare l’organizzazione. Ma non a riesumare una vecchia espressione, ormai “demodé” nella Pubblica Amministrazione: spending review. Ammettiamolo, sono state fatte anche molte sciocchezze in nome della spending review. E qualche fortuna personale si è costruita, pure con scarso merito: gli apostoli della revisione della spesa pubblica hanno avuto momenti di successo personale. Sembravano pronti per ogni incarico. Poi il soufflé si è sgonfiato, persino troppo. E sull’onda del Pnrr, con la voglia di rivincita iniettata nel post-Covid, la spesa pubblica è tornata a farla da padrone. O quasi. Perché non cogliere l’opportunità? La tentazione si insinua tra gli organi del vertice dell’Istituto di previdenza.
C’è un consiglio di amministrazione e un Consiglio di Indirizzo e Vigilanza composto da rappresentanti sindacali e di partito (maggioranza e opposizione, beninteso) che ambiscono ad avere accesi terminali efficienti nella Tecnostruttura. E viceversa, come accade spesso nella PA, ci sono dirigenti che non vedono l’ora di farsi accendere. Qualche anno fa, proprio una dirigente Inps sussurrava, in cambio di una rigorosa garanzia di anonimato: «Ogni minuto dedicato al lavoro è sottratto alla carriera». Tradotto: per fare carriera occorre occupare il proprio tempo nelle relazioni con chi conta e decide, piuttosto che nello svolgimento del proprio quotidiano impegno professionale. Cinismo? Forse solo realismo.
Nei giorni in cui si provvede alla redazione del Piano 2025-2027 si danno i numeri. Nel senso che si fanno i conti con le caselle disponibili per soddisfare le richieste (e le pretese) dei dirigenti e degli aspiranti, soprattutto di quelli che hanno lavorato alacremente per assicurarsi qualche “santo in Paradiso”. L’obiettivo economico e salariale non è di poco conto: un dirigente di prima fascia all’Inps può contare su una retribuzione di 255mila euro all’anno. Ce ne sono 43, per il momento. Perché diminuirli? Meglio, se possibile, aumentarli.
Fino a una decina d’anni fa, prima dell’inclusione dell’Inpdap (l’Istituto di previdenza dei dipendenti pubblici), l’Inps contava 12 direzioni centrali, per un totale di una ventina di dirigenti di prima fascia: alcune sedi regionali (poche), per popolazione assistita e per imprese presenti e paganti contributi erano rette da un dirigente di prima fascia. La “fusione” dell’Inpdap nell’Inps provocò il raddoppio dei ruoli dirigenziali. Cosa comprensibile in una fase di transizione. Meno ragionevole in un assestamento che non c’è mai stato.
Oggi le direzioni centrali sono 20 (non più 12), più una ventina di dirigenti di prima fascia in alcune sedi territoriali. Con qualche articolazione priva di esigenza manageriale: in quale azienda privata ci sono quattro direzioni generali che riguardano le risorse umane? All’Inps c’è Risorse Umane, Organizzazione, Benessere organizzativo, Formazione. Quattro direzioni, quattro dirigenti di prima fascia. Ma al netto della direzione Pensioni, il core business, ci sono altre quattro direzioni centrali che dovrebbero far capo alla dimensione del welfare, invece spacchettato in Ammortizzatori sociali, Welfare, Inclusione e sostegno alla Famiglia, Salute e Prestazioni Disabilità.
C’è pure una direzione centrale Partecipazioni societarie e politiche di investimento. E perché? La raccolta dei contributi previdenziali obbligatori va sul conto della Tesoreria: quali investimenti richiedono una direzione centrale? Non certo la partecipazione istituzionale in Banca d’Italia. È curioso notare che tra le partecipazioni societarie di Inps ci siano anche due realtà finanziarie, una Sicar lussemburghese (Ncp) e una americana (Hamilton Lane Private Equity). Con percentuali non irrisorie: rispettivamente oltre il 18% e quasi l’11%.
Frutti amari del piccolo boccone dell’Inpgi? Forse. L’Istituto di previdenza dei giornalisti (tranne la Gestione separata) da un paio d’anni è entrato forzosamente in Inps. In genere le “fusioni” si fanno per ridurre i costi, per ottimizzare. Era l’obiettivo della spending review durante il Governo Monti. Ma la fusione dell’Inpdap in Inps non ha mai compresso i ruoli dirigenziali complessivi. Anzi. Nel nuovo Piano triennale, in corso di definizione, si favoleggia – ma c’è chi lo ha proposto veramente – una direzione centrale (con annesso dirigente di prima fascia, ovviamente) al Pnrr. Oppure, ancora più suggestiva, una direzione centrale Affari internazionali, che dovrebbe dotarsi non solo di un nuovo dirigente di prima fascia, ma anche di una adeguata sede a Bruxelles.
Non sono chiacchiere, sono – ahi noi – progetti, in corso di valutazione. Ora, tutti sanno che la normativa previdenziale è una di quelle gelosamente conservate dagli Stati nazionali. Con fatica si è fatta strada una dimensione europea del “terzo pilastro”, cioè della previdenza complementare individuale, con i cosiddetti Pepp: si tratta essenzialmente di uno strumento di previdenza complementare che offre a tutti i cittadini degli Stati Ue un’unica soluzione integrativa con caratteristiche uniformi su tutto il territorio dell’Unione. Ma sulla previdenza complementare l’Inps non ha nulla da dire.
Quindi a Bruxelles che ci andrebbe a fare? Sembra una tardiva imitazione degli sprechi regionali, più volte stigmatizzati, anche se non sempre annullati. Quante Regioni hanno avuto (o hanno ancora) sedi proprie all’estero, con la scusa della promozione turistica, di propria competenza? Peccato che nel caso della previdenza non ci sia alcuna necessità promozionale, e per l’armonizzazione dei diversi sistemi previdenziali nazionali basta e avanza la competenza sviluppata negli uffici dei ministeri nazionali. Per la ricongiunzione delle posizioni previdenziali, per chi ha lavorato in Paesi diversi, ci sono normative consolidate e convenzioni stipulate, o da stipulare tra Stati sovrani, non tra enti previdenziali.
L’Inps non ha un eccesso di dipendenti, forse avrebbe bisogno di qualche ispettore in più, di qualche funzionario in continuo aggiornamento professionale. Ma da quando ha ingoiato il boccone dell’Inpdap, ha qualche dirigente centrale di troppo. Forse non influirà molto sul miliardo di euro di costo complessivo del personale, ma sulla complessità organizzativa sì. Con buona pace degli appetiti di partiti e sindacati.
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